Diritti

Uk e sorveglianza a lavoro: nel mirino giovani, donne, minoranze

Secondo il report dell’Institute for Public Policy Research, le tecnologie di monitoraggio colpiscono prevalentemente le categorie “più deboli”. Ma l’appartenenza a un sindacato potrebbe aiutare
Credit: Cottonbro Studio
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4 aprile 2023 Aggiornato alle 14:00

Le tecniche di sorveglianza dei lavoratori colpiscono in modo sproporzionato i giovani, le donne e le minoranze etniche: è il dato emerso dal report dellInstitute for Public Policy Research (Ippr), think thank progressista con sede a Londra, che si è concentrato sulle modalità di sorveglianza nel mondo del lavoro del Regno Unito a seguito della pandemia.

La sorveglianza lavorativa è presente da quando esiste il lavoro dipendente ma, secondo il report, le nuove tecnologie stanno rendendo più semplice e accessibile il “controllo”. In mancanza di una regolamentazione adeguata e al passo con i tempi, l’espansione delle tecniche di monitoraggio sembra andare a scapito proprio delle categorie che, nel mercato del lavoro, hanno meno potere.

Le tecniche vanno dalla raccolta dei dati dei dipendenti, sulla base dei quali è possibile prendere decisioni lavorative automatizzate, al controllo minuto per minuto degli spostamenti fisici dei lavoratori, fino alle tecnologie di riconoscimento facciale che consentono di capire se la persona è concentrata sulle sue attività (come l’AI progettata dalla società tech giapponese Fujitsu, che osserva i movimenti dei muscoli del viso).

Secondo i risultati dello studio, la sorveglianza tramite tecnologie all’avanguardia è aumentata con la pandemia e lo smart working, diventato ormai la nuova normalità lavorativa. Come riportato dal Guardian, per le donne attive nel settore privato c’è un rischio più alto di essere sottoposte a sorveglianza sul lavoro. In particolare, per le lavoratrici che non sono iscritte a un sindacato il rischio sale al 52%.

Questo perché le donne, vittime del gender gap, si trovano più spesso in ruoli con competenze più basse e con minore autonomia rispetto agli uomini; condizioni che rendono molto più probabile l’applicazione di tecniche di sorveglianza da parte del datore di lavoro, mentre la partecipazione a un’organizzazione sindacale è una tutela in più che, in genere, dà la possibilità ai lavoratori di essere consultati prima dell’introduzione di strumenti di monitoraggio aziendale.

In generale, appare chiaro dal report che sono i giovani la categoria più debole ed esposta ai rischi della sorveglianza lavorativa: hanno un livello di autonomia vicino allo zero, si uniscono di rado a un sindacato e sono nelle fasce più basse della gerarchia aziendale (in questo caso, per i ragazzi e le ragazze tra i 16-29 anni, il rischio di essere sorvegliati sul lavoro raggiunge la cifra del 49%). Lo stesso si può dire delle persone nere, che però, a differenza di altri gruppi etnici, hanno più probabilità di essere tutelati dall’appartenenza a un sindacato.

Alcuni degli intervistati hanno spiegato che sono soprattutto i lavoratori precari a provare una forte insicurezza di fronte all’espansione di questi metodi, perché non avrebbero a disposizione alcuna possibilità di “controbattere” rispetto alle osservazioni catturate dalle tecnologie e sarebbero i prescelti per un eventuale licenziamento deciso dall’algoritmo.

Come dichiarato al Guardian da Henry Parks, economista senior dell’Ippr e autore del report: «I giovani, le donne e i neri rischiano di essere sproporzionatamente colpiti in modo negativo dalla sorveglianza sul lavoro e la legge, così com’è, non è al passo con la realtà».

Da qui, il sollecito di un intervento governativo per garantire la correttezza delle procedure. Secondo l’Ippr, infatti, il Governo britannico dovrebbe vietare alcune pratiche ritenute scorrette, come la registrazione di tutto ciò che viene digitato sulla tastiera (il cosiddetto keystroke logging), e i datori di lavoro dovrebbero condividere con i dipendenti i dati raccolti. Durante la giornata è considerato normale che vengano registrate le chiamate tra colleghi o tra colleghi e clienti, nonché le riunioni di lavoro. E in certi casi il datore può persino accedere da remoto ai computer aziendali e fare screenshot delle attività svolte dai dipendenti.

Anche il Trades Union Congress, confederazione dei sindacati del Regno Unito, ha chiesto l’approvazione di una riforma del diritto del lavoro che protegga i lavoratori dalle tecniche di sorveglianza, citando in particolare il diritto alla disconnessione e diritti digitali di trasparenza per l’utilizzo di queste risorse.

Stando ai dati del report della società Gartner di giugno 2022, il numero di grandi aziende che utilizzano strumenti di sorveglianza è raddoppiato dall’inizio della pandemia e ha raggiunto il 60%. Secondo le previsione potrebbe raggiungere il 70% entro il 2025. Secondo il sondaggio condotto dalla società di business intelligence Morning Consult, che ha intervistato 750 lavoratori del settore tech, più della metà preferirebbe dimettersi se il datore di lavoro decidesse di usare tecnologie di sorveglianza invasiva, come la registrazione di audio e video sui loro computer e strumenti di riconoscimento facciale per monitorare la produttività.

Per evitare che queste tecnologie finiscano fuori controllo, serve una regolamentazione al più presto. Perché, come ha detto Henry Parkes, «Potrebbero avere conseguenze disastrose per il benessere mentale e fisico dei dipendenti».

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