Futuro

Chiara Petrioli: «L’Internet of Underwater Things ha potenzialità enormi»

Lo sviluppo della blue economy può accelerare la transizione ecologica. L’ha spiegato a La Svolta Chiara Petrioli, Ceo della società deep-tech WSense, premiata al World Economic Forum
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24 marzo 2023 Aggiornato alle 13:00

Nei prossimi anni la blue economy sarà uno degli elementi chiave per salvaguardare gli ecosistemi marini e garantire la sostenibilità ecologica.

Data l’importanza dello sviluppo di questo settore economico, tecnologico e ambientale, quest’anno il World Economic Forum di Davos ha premiato la società deep-tech italiana WSense con l’Ocean Data Challenge, riconoscendola come l’impresa più innovativa al mondo nella raccolta e gestione dei dati ai fini della protezione dell’ambiente oceanico.

A partire dal 2017 WSense è diventata un’eccellenza internazionale nella frontiera dell’Internet of Underwater Things (IoUT), in sistemi di monitoraggio e comunicazione subacquei. La Ceo Chiara Petrioli ha spiegato a La Svolta l’importanza di questo settore.

WSense è un’impresa che opera da tempo nel campo dell’Internet of Underwater Things (IoUT). Quali sono le sue potenzialità?

Enormi. Oltre due terzi del nostro pianeta è “blu” e l’80% degli oceani sono ancora inesplorati e in gran parte sconosciuti. Noi mettiamo a disposizione di istituzioni, enti di ricerca, imprese una tecnologia che permette il dialogo diretto tra sensori e robot subacquei che operano in acqua. Lavoriamo sul fronte dell’offerta di tecnologia abilitante per tutto ciò che si può fare in mare, a iniziare dalle attività di monitoraggio e controllo. Le nostre reti wireless subacquee consentono ai clienti di estrarre dati in tempo reale e perseguire nuovi modelli di business. Trainante in questa fase è certamente l’aumentata sensibilità ambientale determinata dai rischi derivanti dai cambiamenti climatici e la crescita della responsabilità sociale delle imprese.

Si parla di blue economy come nuovo modello economico sostenibile. Che benefici potrebbe portare alla transizione globale?

Se per transizione globale intendiamo la crescita e lo sviluppo socioeconomico del pianeta non possiamo non tenere conto della crescita demografica e dell’impronta ecologica di oltre 8 miliardi di persone. Nonostante le varie crisi finanziarie e la pandemia, il traffico marittimo mondiale accelera la sua crescita con la conseguente pressione sulle acque, sulle coste e sui porti.

Ai mari sarà poi chiesto un sempre maggiore contributo alimentare, e non penso solo alla piscicoltura, ma anche alle alghe e altro che si potrà sviluppare. Per non parlare del potenziale delle risorse geologiche sottomarine, e la necessità che il loro sfruttamento avvenga con attente attività di monitoraggio dell’impatto ambientale. Inoltre un settore importante nell’economia green sarà proprio quello delle energie rinnovabili offshore, in particolare impianti eolici ma anche solari, con sfide che riguardano la verifica del basso impatto ambientale delle soluzioni, il controllo e la gestione degli asset, il monitoraggio strutturale degli ancoraggi.

Che progetti avete in corso nel Mediterraneo? Con quali prospettive future?

Vorrei citare alcuni esempi che possono dare una idea della pervasività e dell’estensione dei possibili usi dei nostri sistemi, anche perché da ogni nuova applicazione che ci viene chiesta ricaviamo stimoli per migliorarci e implementare i servizi che possiamo offrire. Va tenuto presente che le nostre reti trasmettono i dati, ma i sensori che vengono impiegati sono indicati e anche scelti da chi chiede il nostro intervento in funzione delle proprie esigenze.

Nella Baia di Santa Teresa, all’imbocco del Golfo della Spezia, è esemplare l’attività di monitoraggio ambientale, dove operiamo con nove nostri nodi di una rete wireless connessa che rileva in tempo reale, alle diverse profondità, dati di temperatura, salinità, conducibilità, velocità, direzione e intensità delle correnti marine.

Di grande prospettiva anche l’attività di monitoraggio dell’area vulcanica intorno all’isola di Panarea, che svolgiamo per conto dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. Aggiungo che possibili eruzioni sottomarine potrebbero generare dei maremoti, che saremmo in grado di segnalare tempestivamente.

Un’altra applicazione molto interessante, perché ha richiesto di implementare la possibilità degli operatori subacquei di dialogare tra loro su tablet marinizzati, è la ricerca e monitoraggio di siti archeologici, una soluzione che stiamo utilizzando a Baia, nei pressi di Pozzuoli.

Altre attività riguardano i settori delle infrastrutture critiche, come il monitoraggio del rumore generato da impianti e attività antropiche. Questa attività è estremamente interessante, perché ci obbliga a mettere in campo sistemi molto raffinati per analizzare e distinguere i vari suoni tra gli altri che si diffondono in mare, a esempio con il passaggio delle varie imbarcazioni.

Dato l’aggravarsi della crisi climatica-ambientale, prevedete un’accelerazione dello sviluppo di questo settore in Italia e in Europa da qui al 2030?

Sì. Il valore economico delle risorse oceaniche globali è valutato in circa 2,4 trilioni di dollari e le previsioni di crescita sono del doppio rispetto al tasso di crescita dell’economia tradizionale entro il 2030. Per l’Europa e il Mediterraneo non abbiamo ancora previsioni più specifiche. Quello che registriamo è però il crescente interesse, penso anche dovuto all’arrivo di tecnologie come le nostre, che permettono attività del tutto nuove, come accennavo all’inizio.

In Norvegia, dove abbiamo una sede, lavoriamo per il monitoraggio dell’impatto dell’allevamento del salmone, non solo per la tutela marina ma anche per la salute dei pesci, che poi arrivano nelle nostre cucine. L’acquacoltura è in grandissimo sviluppo in tutto il Mediterraneo, che dobbiamo ricordare è un mare chiuso quindi un ecosistema particolarmente delicato.

Quali politiche dovrebbe implementare il Governo italiano per accelerare la blue economy e le attività tecnologiche collegate a essa?

Più che il Governo, che ci sembra già sensibile alle problematiche marine, come dimostra l’istituzione di un apposito Dipartimento del Mare associato al Ministero della Protezione civile, oltre alle competenze del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, cosa che non mi sembra casuale, penso che debba essere l’Unione europea a lanciare un ampio programma di monitoraggio e implementazione delle tecnologie dedicate, perché come l’atmosfera non ha confini, e l’inquinamento viaggia da un cielo all’altro, così è anche per il mare. Oggi grazie alle tecnologie innovative dell’IoUT monitorare gli ambienti marini sta diventando semplice e, come per il wi-fi nelle nostre abitazioni, dovrebbe essere dispiegato in tutte le aree strategiche o critiche dal punto di vista ambientale, fornendo finalmente agli scienziati, aziende e autorità le informazioni necessarie per sviluppare la blue economy nel pieno rispetto dell’ambiente.

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