Ambiente

Più droni negli oceani per testare le emissioni di carbonio

Il nuovo progetto del Mit, proposto in occasione del Climate Grand Challenge, ha l’obiettivo di disporre di metodi di misurazione più precisi per verificare l’attendibilità delle stime dichiarate dai Paesi sulla produzione di gas climalteranti
Una delle prime fotografie di un campione di sedimento mostra pellet, aggregati e conchiglie che compongono la "neve marina." (Istituto oceanografico Woods Hole)
Una delle prime fotografie di un campione di sedimento mostra pellet, aggregati e conchiglie che compongono la "neve marina." (Istituto oceanografico Woods Hole)
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14 aprile 2022 Aggiornato alle 13:00

L’oceano è nostro alleato nella lotta al riscaldamento globale: si stima che ogni anno assorba un quarto del carbonio prodotto dalle attività umane. Tuttavia, ci sono ancora incertezze al riguardo a causa della mancanza di misurazioni precise realizzate sul campo.

Secondo il Mit, le stagioni e le tempeste possono influenzare la quantità di carbonio assorbita nelle diverse parti degli oceani, variazioni che gli attuali modelli di misurazione non sono in grado di captare. «C’è molta incertezza in quel numero», ha dichiarato Ryan Woosley, chimico marino e ricercatore dell’EAPS al Mit (Dipartimento di scienze della Terra, dell’atmosfera e dei planetari).

Nella speranza di provvedere a questa mancanza, lui e il suo team di ricerca hanno proposto il progetto “Ocean Vital Signs”, per l’invio di droni negli oceani che possano misurare dettagliatamente le quantità di carbonio assorbite dai mari. La ricerca è stata presentata nell’ambito del “Climate Grand Challenges”, iniziativa interna al Mit per il finanziamento di progetti innovativi capaci di fronteggiare la crisi climatica.

«Ocean Vital Signs cerca di rispondere a una domanda - scrive il Mit - Possono i nuovi droni e l’intelligenza artificiale aiutarci a capire come funziona il ciclo del carbonio sulla superficie dell’oceano, rendere più accurate le stime riguardo il flusso di CO2 tra l’aria e il mare e creare una rete di monitoraggio più precisa?».

Qualora il progetto riuscisse a ottenere i finanziamenti, verrebbero distribuiti in un’area limitata alcuni droni autonomi (così da verificare l’effettivo funzionamento della tecnologia) per poi estendere l’operato in tempi più lunghi. «Speriamo di supportare più di 5.000 giorni di osservazione in cinque missioni per cinque anni, campionando cinque bacini oceanici», continua l’istituto.

Il progetto non sarebbe utile solo per questo tipo di misurazione, ma anche per capire meglio quanto effettivamente l’assorbimento di carbonio influisce sull’ecosistema marino. Questo processo, infatti, porta all’acidificazione degli oceani, una condizione che impatta terribilmente sugli organismi marini: «Quindi, se per noi è fantastico che gli oceani abbiano assorbito parte della CO2, non lo è invece per gli oceani - ha spiegato Woosley - Anche sapere come questo processo influisce sulla salute marina è importante».

I dati raccolti, inoltre, potrebbero essere comparati con quelli relativi alle emissioni di carbonio dichiarati dai diversi paesi del mondo. A tal riguardo, lo scorso anno l’agenzia britannica Reuters aveva citato un articolo pubblicato su Nature Climate Change, secondo il quale le emissioni di carbonio rilasciate sono effettivamente maggiori rispetto a quanto i singoli paesi segnalano. Il divario (di circa 5,5 miliardi di tonnellate) «sorge non perché un paese stia facendo qualcosa di sbagliato», scriveva l’agenzia, piuttosto per le differenze tra modelli utilizzati da alcune nazioni per calcolare le stime.

Ecco spiegata la necessità di progetti più standard per le misurazioni: «Senza modelli più precisi non c’è modo di confermare se le riduzioni di carbonio osservate siano dovute alla politica e alle persone o all’oceano», conclude il Mit.

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