Bambini

Puoi sorridere per me? L’infanzia perduta dei bambini al MAXXI

La mostra Can You Smile For Me? - realizzata da Unicef - raccoglie più di 80 scatti realizzati dal fotoreporter Giammarco Sicuro, tra Ucraina, Afghanistan, Myanmar e India
Credit: Giammarco Sicuro
Credit: Giammarco Sicuro
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
26 febbraio 2023 Aggiornato alle 20:00

Una bambina con un cappellino blu restituisce al visitatore uno sguardo colmo di tristezza: sopra, la scritta Can You Smile For Me? - L’infanzia sperduta, il titolo dell’esposizione promossa da Unicef grazie al contributo di Giammarco Sicuro, fotoreporter di guerra che, attraverso una selezione di 83 scatti realizzati in oltre 10 anni di attività nei vari Paesi in cui opera l’organizzazione – Ucraina, Afghanistan, Myanmar e India - racconta le storie di dolore e rinascita di bambini sparsi in tutto il mondo. In zone remote, flagellate dalla guerra e dalle epidemie.

«L’idea è nata a ottobre 2022, durante la mia permanenza a Svistohorsk, un villaggio del Donbass che era stato appena liberato dall’occupazione russa» ha spiegato il giornalista Rai nel corso dell’inaugurazione della mostra, che resterà aperta al MAXXI di Roma fino al 5 marzo.

«Ad un certo punto, noto una bambina di 8-9 anni al massimo, in fila assieme ad altre centinaia di persone per ricevere pane e latte. È difficile che un bambino alla vista di una macchina fotografica, anche in luoghi e situazioni difficili, non accenni un sorriso. Invece, la bimba in foto ha uno sguardo perso e vuoto, sembra aver perso la capacità di sorridere. Ecco, appunto la domanda che dà il titolo alla mostra: “Can You Smile For Me?».

Accanto alle foto, diverse installazioni: radunati su un tavolino in un angolo, nastri di munizioni di artiglieria, tappi di proiettili, brandelli di uniformi, resti di mortai raccolti sul suolo ucraino.

E poi diversi oggetti, strumenti e medicinali utilizzati quotidianamente dall’Unicef per dare assistenza ai bambini: una confezione di Aquatabs, con cui gli operatori sanitari rendono potabile l’acqua data da bere ai piccoli; il Muac, un braccialetto che indica il livello di malnutrizione dei pazienti nei centri pediatrici (il colore giallo segnala una malnutrizione acuta moderata, il rosso invece quando il bambino è in pericolo di vita) e il materiale scolastico e di cancelleria fornito alle classi.

Una parte dell’esposizione è dedicata, in particolare, all’Ucraina e all’Afghanistan: il conflitto russo-ucraino sta avendo un impatto drammatico sulla vita e sul futuro di 7,8 milioni di bambini: tra loro, 3,4 milioni hanno bisogno di assistenza umanitaria lì, sul posto, mentre 3,9 milioni hanno bisogno di aiuto nei Paesi dove sono stati accolti come rifugiati.

Ma non possiamo dimenticare che anche l’Afghanistan sta vivendo una situazione di crisi umanitaria senza precedenti: lì, 15,3 milioni di bambini hanno bisogno di aiuto. Dopo il ritorno dei talebani al potere si è stretta la morsa del regime sulla vita delle donne: più di 1 milione di ragazze hanno perso l’opportunità di frequentare la scuola secondaria.

Proprio in Afghanistan, Giammarco Sicuro si è ritrovato a visitare quello che ha descritto come un girone dell’Inferno dantesco: la prigione di Sarposa. All’interno, erano detenute perlopiù persone tossicodipendenti, omosessuali e donne adultere. E poi, molti bambini: bambini rastrellati per le strade, perché i talebani non vogliono minori non accompagnati in giro per la città.

In tutti gli scatti che documentano le terribili condizioni della prigione, i più piccoli piangono disperati. «Provo a fare qualche domanda, ma vengo allontanato rapidamente - racconta il fotoreporter - Decido di denunciare quest’orrore all’Unicef, che interviene prontamente e convince il Governatore talebano a liberare tutti i bambini gettati in prigione e di collocarli presso una struttura più adatta. Una storia tremenda, ma anche un esempio importante di come giornalisti e organizzazioni attive sul territorio cooperando possono risolvere qualche cosa».

All’inaugurazione è intervenuto anche Vittorio Di Trapani, neoeletto presidente della Fnsi (Federazione nazionale della Stampa italiana): «Il giornalismo non deve limitarsi alla fredda contabilità. Il modo migliore per evitare di mettere sul tavolo la parola “pace” è disumanizzare la guerra. La missione del giornalista invece è quella di raccontare i volti e gli occhi. Le fotografie rompono questo schema, danno voce alle vere vittime dei conflitti armati».

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