Economia

Cosa prevede il ddl Calderoli?

Piccola guida all’autonomia differenziata delle Regioni, dopo l’ok del Consiglio dei Ministri al disegno di legge del ministro per gli Affari Regionali
Credit: ANSA/ETTORE FERRARI
Tempo di lettura 5 min lettura
3 febbraio 2023 Aggiornato alle 10:00

C’è il via libera del Consiglio dei ministri al disegno di legge Calderoli, la cosiddetta autonomia regionale differenziata, pensata per modificare il quadro delle competenze attribuite alle Regioni ordinarie. Il tema di una rimodulazione dell’attribuzione delle competenze è in discussione da anni. E nasce dalla riforma costituzionale del Titolo V avvenuta nel 2001, in particolare dall’art. 116 comma 3, che garantisce la possibilità di ampliare le competenze esclusive delle regioni.

In buona sostanza, la complessa divisione di competenze tra Stato ed enti locali è oggi definita dall’art. 117 della Costituzione, che individua le materie in cui vige competenza esclusiva dello Stato, altre in cui vige competenza concorrente tra lo Stato – che fissa i principi fondamentali – e le Regioni, chiamate a legiferare su quelle materie sulla scorta delle indicazioni statali, e infine demanda le materie non citate alla competenza regionale.

Il ddl Calderoli è imperniato proprio sulla facoltà – nel terzo comma dell’articolo 116 – di concedere alle Regioni ordinarie ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia. Il presupposto è il raggiungimento di un’intesa tra Stato e Regioni, contenuta in un’apposita legge da far approvare a maggioranza assoluta da Camera e Senato.

Questa l’architettura in cui è incasellata la riforma proposta da Roberto Calderoli, ministro per gli Affari Regionali in quota Lega, e passata ieri in serata in Cdm. Il cui testo – va chiarito – non costituisce la norma che stabilisce nel merito le intese tra Stato e regioni. Ma un accordo di principio, una legge quadro – a sua volta sottoposta nei prossimi giorni al parere della Conferenza unificata Stato-Regioni – a cui dovranno seguire i singoli accordi tra lo Stato e le Regioni che chiederanno l’autonomia nelle varie materie.

Il ddl lo chiarisce nell’art 1, dove, tra le finalità, afferma proprio la definizione dei «principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, nonché le relative modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione».

Il trasferimento delle funzioni, inoltre, avverrà soltanto in subordine alla determinazione dei Lep (livelli essenziali delle prestazioni), ossia lo standard minimo garantito a prestazioni e servizi in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. Perché – è la ratio sottesa alla norma – trattandosi di diritti civili e sociali c’è l’esigenza di tutelare allo stesso modo tutti i cittadini, a prescindere dalle regioni di appartenenza, e così dovrà avvenire anche per l’attribuzione delle competenze.

Una prima critica avanzata al provvedimento, però, riguarda proprio i Lep, sia per la previsione secondo cui i livelli saranno determinati tramite Decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm), ossia uno strumento utilizzato in casi emergenziali, sia per la mancata previsione nel ddl delle coperture finanziarie riservate ai Lep.

L’attribuzione delle funzioni avverrà dunque solo dopo la determinazione dei livelli prestazionali: l’iter per l’intesa fra Regione e Stato durerà almeno 5 mesi, inclusi i 60 giorni per l’esame delle Camere. Le intese, invece, dureranno fino a 10 anni: possono essere rinnovate o terminate prima, con un preavviso (di Stato o Regione) di 12 mesi.

Proprio in relazione all’attribuzione delle competenze, tra i punti maggiormente criticati figura l’assenza di limiti nel campo delle richieste regionali, cosicché è possibile che una Regione chieda l’autonomia in settori strategici, come scuola, energia e trasporti. Su questo, soprattutto, sono appuntate le critiche al provvedimento spinto dalla Lega, soprattutto da parte dei governatori del Sud – Michele Emiliano (Puglia) e Vincenzo De Luca (Campania) tra tutti – che hanno denunciato l’intenzione di attuare una “secessione dei ricchi”, alludendo alla possibilità che il provvedimento vada a tutto vantaggio delle regioni economicamente più floride.

Da qui le reazioni contrastanti: plauso – come ovvio – della Lega. Il governatore veneto, Luca Zaia, ha parlato di giornata storica. Mentre la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si è detta contenta per l’ulteriore promessa mantenuta. Umori opposti, invece, in casa Pd. Si contesta soprattutto la brusca accelerata per una approvazione a ridosso delle regionali. Il candidato alla segreteria dem, Stefano Bonaccini, ha parlato di “bozza irricevibile”. Rincara la dose Gianni Cuperlo, che chiama il centrosinistra a fare ammenda, ricordando che la riforma del Titolo V fu voluta dal centrosinistra. Critico anche Roberto Speranza, contro un provvedimento definito «Spaccaitalia».

Leggi anche
Roberto Calderoli arriva al Palazzo del Quirinale per la cerimonia di giuramento alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella
Politica italiani
di Giunio Panarelli 3 min lettura