Ambiente

Troppi turisti: in montagna gli animali diventano notturni

Secondo la ricerca condotta dal Museo delle Scienze di Trento e dall’Università di Firenze, la fauna selvatica ha cambiato le proprie abitudini di vita per evitare il contatto con gli esseri umani
Credit: Jill Wellington
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2 febbraio 2023 Aggiornato alle 10:00

Negli ultimi anni i paesaggi montani sono diventati privilegiate mete turistiche, scelte per esperienze escursionistiche o semplici vacanze all’insegna della natura e del relax ad alta quota.

Un boom per il settore, ma anche un rischio ambientale e faunistico da non sottovalutare. La frequentazione intensiva di questi luoghi, infatti, cresciuta sempre di più con il passare degli anni e trasformatasi in vera e propria urbanizzazione di aree naturali, ha alterato vecchi equilibri raggiunti dalla fauna selvatica che popola i boschi e le foreste delle montagne.

In che modo? Secondo uno studio del MuseMuseo delle Scienze di Trento - e dell’Università di Firenze, pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale di sostenibilità ambientale Ambio e realizzato in convenzione col Servizio Faunistico della Provincia autonoma di Trento, sembra che l’abitabilità delle aree montane sia soggetta a “turnazioni”: di giorno largo spazio ai turisti, di notte tocca agli animali. Un rapporto di reciproca convivenza basato sulla regola del “non contatto”.

Stando ai risultati della ricerca, che ha rivelato gli effetti di lungo periodo sulla fauna selvatica dovuti alla frequentazione escursionistica negli ambienti montani, sono cambiate le abitudini delle specie selvatiche sulle Dolomiti. Pur di non incontrare i turisti, gli animali preferiscono diventare notturni e muoversi in orari in cui il “pericolo uomo” sembra essere scampato.

In particolare, lo studio, dal titolo Crowded mountains: Long-term effects of human outdoor recreation on a community of wild mammals monitored with systematic camera trapping, ha indagato la reazione degli animali selvatici alla crescente presenza di esseri umani nei loro habitat e i possibili effetti negativi nel lungo periodo attraverso l’utilizzo di 60 fototrappole installate sistematicamente ogni estate, a partire dal 2015, in un’area delle Dolomiti del Trentino occidentale altamente frequentata da escursionisti, al fine di rilevare i passaggi di animali e persone e monitorare la fauna per studiare le reazioni della convivenza uomo-animale.

Come ha spiegato Marco Salvatori, dottorando dell’Università di Firenze in collaborazione con il Muse e primo autore dello studio, «delle oltre 500 mila foto raccolte in 7 anni di ricerca (dal 2015 al 2022), il 70% ritrae persone e il tasso di passaggio umano di fronte alle fototrappole è stato 7 volte superiore a quello della specie selvatica più comune nell’area, la volpe, e addirittura 70 volte superiore a quello dell’orso, la specie che è risultata più raramente fotografata. Il passaggio delle persone inoltre non differisce fra le foto-trappole presenti all’interno del Parco Naturale Adamello-Brenta e quelle poste al di fuori, dimostrando, come prevedibile, una potenziale pressione anche all’interno dell’area protetta».

Una presenza umana così massiccia nell’habitat naturale degli animali, ha spinto molte specie a cambiare abitudini di vita: le 8 specie prese in analisi nello studio (orso, cervo, camoscio, capriolo, tasso, volpe, lepre e faina) hanno rivelato la stessa risposta comportamentale, diventando più notturne per diminuire la probabilità di incontrare persone, e concentrando le loro attività di notte anche quando si trovano più vicino ai centri abitati.

Addirittura è emerso che le specie di maggiori dimensioni, come l’orso, il cervo e il camoscio, hanno esibito una chiara tendenza a evitare di frequentare le zone in cui il passaggio umano è più intenso.

Per Francesco Rovero, docente di ecologia dell’Università di Firenze e coordinatore dello studio, la tendenza a una maggiore notturnalità è una «risposta comportamentale comune a molti mammiferi esposti alla presenza di grandi numeri di persone, come testimoniano anche diverse ricerche a livello internazionale».

«Se, da parte degli animali, l’impegno a evitare il contatto con gli esseri umani è notevole – ha aggiunto – ora sta anche a noi umani fare attenzione adottando, a esempio, alcune misure per limitare l’accesso ad alcune aree dei parchi naturali nei periodi dell’anno più delicati per la fauna, una strategia già ampiamente applicata in molte parti del mondo».

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