Diritti

Cosa sta succedendo a Chernobyl

La tensione tra Mosca e Kiev è altissima. E tra le zone presidiate c’è la foresta radioattiva dove nel 1986 esplose la centrale nucleare
Al confine nord dell'Ucraina si stanno armando gli eserciti (Maria Michela D'Alessandro)
Al confine nord dell'Ucraina si stanno armando gli eserciti (Maria Michela D'Alessandro)
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24 gennaio 2022 Aggiornato alle 15:00

Le notizie si susseguono, una dopo l’altra, velocemente, su una possibile invasione russa in Ucraina. Negli ultimi giorni, Vladimir Putin ha schierato 100.000 soldati vicino al confine ucraino (a circa 300 km), ma mentre la maggior parte dell’attenzione è proprio concentrata sulle truppe nell’est dell’Ucraina, la rotta più breve dalla Russia alla capitale dell’Ucraina, Kiev, è da nord. E passa attraverso la cosiddetta “zona di alienazione” intorno a Chernobyl, dove nell’aprile del 1986 esplose la centrale nucleare provocando il peggior disastro nucleare di tutti i tempi.

Chernobyl rimane un’area che l’Ucraina pensa di dover difendere, dispiegando forze di sicurezza nella foresta desolata e ancora radioattiva, dove negli ultimi giorni non vengono trasportate solo attrezzature per rilevare l’esposizione alle radiazioni, ma anche armi.

«Non importa se è contaminato o se nessuno vive qui» ha commentato Yuri Shakhraichuk, tenente colonnello del servizio di guardia di frontiera ucraino. «È il nostro territorio, il nostro Paese, e dobbiamo difenderlo». Le forze ucraine nell’area, nota anche come zona di esclusione di Chernobyl, non sarebbero sufficienti per respingere un’invasione, qualora avvenisse: la loro presenza è quindi principalmente per rilevare possibili segnali di pericolo. «Raccogliamo informazioni sulla situazione lungo il confine e le trasmettiamo alle agenzie di intelligence ucraine» ha affermato il colonnello Shakhraichuk. Anche in un luogo morto, isolato, a tratti pauroso e carico di ansia come questo: raggiungere Chernobyl dalla capitale Kiev è un insolito viaggio da intraprendere a livello emotivo, diventato famoso negli ultimi anni anche grazie alla serie tv americana prodotta da HBO nel 2019: dalla piazza Maydan di Kiev, teatro nel 2014 della rivoluzione, al primo checkpoint di Chernobyl, ci vogliono due ore in macchina. Oltre la foresta ancora radioattiva, a pochi km dalla centrale, la Bielorussia di Lukashenko, finestra sulla Russia di Putin.

Ma quindi, ci sarà davvero un’invasione? A Mosca non se ne parla, non ne parla il leader assoluto Putin né tantomeno i media russi nei giorni in cui il presidente della Duma, la Camera bassa del parlamento, Vjacheslav Volodin (del partito di opposizione di Putin), ha annunciato un voto per riconoscere l’indipendenza di Dontesk e Lugansk, le autoproclamate repubbliche del Donbas, nell’est dell’Ucraina. Probabilmente anche su questo non ci sarà nulla di fatto, perché per Putin vorrebbe dire portare il confine russo sempre più vicino a quello della Nato.

Chi parla di invasione, però, non ha dimestichezza né tantomeno idea delle distanze del nord del continente europeo: l’Ucraina si estende su un territorio grande quanto due volte l’Italia con 45 milioni di abitanti, e occupare un Paese di queste dimensioni non è una cosa così semplice. Sia a livello militare che economico.

Senza contare l’aspetto culturale: lo stesso Putin lo scorso 12 luglio aveva detto la sua “Sull’unione storica dei russi e ucraini”, affermando che russi e ucraini erano un popolo che condivideva un “unico spazio storico e spirituale” e che l’emergere di un “muro” tra di loro, negli ultimi anni, è stato tragico.

Oltre la precisa richiesta dei russi agli americani che l’Ucraina non entri mai nella Nato, al centro delle tensioni ci sono quindi questioni di lunga data: bisogna spostare le lancette al 1991 quando, con il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia perse il controllo di 14 Repubbliche tra cui l’Ucraina, considerata la sconfitta più amara - nel 19° secolo Kiev divenne la capitale dell’antico Stato russo della Rus, e a differenza delle altre Repubbliche, l’unione tra Ucraina e Russia è sancita da un trattato siglato nel 1654. Prima del crollo dell’URSS, l’Ucraina era la Repubblica sovietica più popolosa, oggi divisa dalla Russia da quasi 2.000 km di confine.

Nella confusione, mentre Washington e Londra evacuano una parte del personale dalle ambasciate a Kiev, il governo ucraino e l’Europa rispondono: «Decisione prematura ed eccessiva» da una parte, «noi restiamo, non c’è motivo di andare via», dall’altra. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, continua a sottolineare di voler sostenere l’integrità e la sovranità dell’Ucraina, che ha sempre reso espliciti i suoi sentimenti euro-atlantici, senza mai però siglare il Patto Atlantico.

La stessa Nato non sembra voler compiere passi indietro al confine con la Russia, e invierà «navi e caccia in Europa dell’est per rinforzare la nostra capacità di deterrenza e difesa, mentre la Russia continua ad aumentare la propria presenza militare dentro e fuori dall’Ucraina», si legge in una nota del Patto Atlantico.