Economia

Il più grande o il migliore? È il nuovo capitalismo, bellezza

Qualcosa è cambiato nei parametri che definiscono la reputazione di ciascuno di noi. E anche le aziende vengono scelte - dai giovani - per la loro dimensione etica.
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17 gennaio 2022 Aggiornato alle 08:00

Tagliata con l’accetta, come può capitare di fare sui social, qualche giorno fa ho scritto che Novak Djokovic non sarà mai il più grande del mondo. La considerazione prescinde dai meriti sportivi e dalle passioni personali (confesso, sono un amante di Federer), ma ha a che fare con quello che rappresenta uno sportivo. Mi è stato obiettato: Maradona, pura poesia in campo, è stato il più grande pur avendo assunto cocaina, frequentato persone di dubbia fama, sparato ai giornalisti che lo aspettavano sotto casa.

Tutto vero, ma tutto avvenuto in un’epoca, pur relativamente recente, nella quale agli dèi dello sport, così come del cinema, della tv, della musica non era richiesto di essere anche degli esempi di integrità. Bello o brutto che sia, è diventato imprescindibile per figure pubbliche i cui portafogli si nutrono di sponsorizzazioni quasi quanto di prestazioni sul campo, mentre le aziende si nutrono della loro reputazione: se questa diventa pessima, i rischi di perdita sopravanzano in maniera talmente forte i potenziali benefici che non c’è altro da fare che battere in ritirata.

Del resto uno dei più grandi fuoriclasse del cinema americano, Kevin Spacey, è scomparso persino dalle piattaforme streaming e dalla serie della quale era il mattatore assoluto (“House of Cards”) dopo le accuse di molestie sessuali, un fatto che anche solo vent’anni fa sarebbe stato impensabile. Il migliore non è necessariamente il più grande. Non più, almeno.

Ma la richiesta di irreprensibilità non si ferma a questi ambiti: secondo una ricerca di PWC realizzata intorno a Natale oltre l’80% dei consumatori più giovani sceglie il marchio anche sulla base del comportamento dell’azienda in termini di responsabilità sociale, attenzione all’ambiente, all’inclusione, alla diversità, imponendo di fatto una nuova dimensione etica al mondo dell’impresa. Ancora: non è un giudizio di merito, ma un dato di fatto. È il nuovo capitalismo, bellezza, basato sulla reputazione come mai nella storia e il caso di Nole è là a ricordarcelo.