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I nomi dei colori, un universo di sfumature

Secondo diversi studi, la percezione cromatica è influenzata dalla cultura di appartenenza e dall’apprendimento. Capiamo come
Credit: Craig Karl
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
30 ottobre 2022 Aggiornato alle 13:00

Gli eschimesi hanno almeno ventun modi per dire neve. Siamo sicuri che l’avrete sentito dire più volte, anche se – ci duole dirlo – non è del tutto vero*.

Questo mito pseudo-scientifico, però, potrebbe riflettere un fenomeno molto più reale. Come ha spiegato in un articolo Pedro Raúl Montoro Martínez, professore di Psicologia dell’Universidad Nacional di Education di Madrid, infatti, il mondo dei colori, come molti altri aspetti della percezione, può essere influenzato dalle differenze culturali e dalle esperienze di apprendimento, tra le quali la lingua che parliamo.

Chi ha studiato linguistica avrà familiarità con la cosiddetta Ipotesi di Sapir-Whorf, anche detta della relatività linguistica, diffusa nella prima metà del secolo scorso, secondo la quale la lingua che impariamo influisce drasticamente sul modo in cui percepiamo, ricordiamo e pensiamo il mondo.

Questa teoria, applicata ai colori, sembrava essere stata sconfessata da uno studio del 1969: gli antropologi Brent Berlin e Paul Kay, infatti, studiando il vocabolario dei colori in 100 lingue diverse, avevano scoperto come i termini per indicare le varie tonalità dei colori non fossero arbitrari, ma seguissero una precisa gerarchia: «se una lingua ha solo due parole per indicare i colori, allora sono bianco e nero. Se ne ha tre, sono bianco, nero e rosso. Con cinque termini, verde e giallo si aggiungono ai precedenti. E così via». Secondo questo studio, quindi, piuttosto che la relatività linguistica la gerarchia seguirebbe uno schema universale basato sui sei colori fondamentali proposti dalle teorie della percezione cromatica: bianco, nero, rosso, verde, giallo, blu.

Eppure, studi più recenti dimostrano che la situazione non è così semplice. Come spiega Martínez, «in inglese e spagnolo esiste un termine di base per riferirsi ai colori bluastri. Tuttavia, in lingue come il russo, il greco e il turco, ci sono termini diversi per azzurro e blu scuro. a esempio in greco si dice ghalazio (azzurro) e ble (blu scuro)».

Secondo le ricerche, i parlanti di queste lingue non solo sarebbero più veloci e sicuri nel distinguere le due tonalità ma, rispetto a inglesi e spagnoli, individuerebbero anche le sfumature intermedie come colori diversi, enfatizzando le differenze percettive.

Questo non è l’unico studio (né l’unico colore analizzato) che dimostra come il raggruppamento che ciascuna lingua usa per nominare i colori influenza il modo in cui sono percepiti e ricordati dai suoi parlanti. La review Color Perception: Objects, Constancy, and Categories, pubblicata sull’ Annual Review of Vision Science, a esempio, mostra che secondo diversi studi la lingua ha un impatto reale – sebbene più limitato di quello ipotizzato da Whorf – sul modo in cui percepiamo il colore.

Anche un approfondimento che ha analizzato la percezione del colore blu nelle lingue cinese e mongola sembra confermare quest’ultima visione, sebbene la velocità della ricerca visiva in blu e verde non escluda e anzi suggerisca un aspetto universalistico: «la differenza tra i parlanti cinese e mongolo nella regione del blu suggerisce un aspetto relativistico della lingua e della percezione del colore».

Questo certifica anche che la nostra percezione può cambiare: significativamente, secondo lo studio Perceptual shift in bilingualism: Brain potentials reveal plasticity in pre-attentive colour perception, alcune persone di lingua greca che avevano vissuto a lungo nel Regno Unito a causa dell’influenza della lingua inglese avevano maggiori difficoltà a distinguere ghalazio e ble.

D’altro canto, però, questo significa anche che il nostro modo di percepire i colori può essere allenato e che ciascuno di noi, indipendentemente dalla lingua madre o da quella acquisita, può espandere il proprio vocabolario dei colori, imparando così a distinguere diverse sfumature.

*Se ve lo state ancora chiedendo, la lingua Inuit ha solo quattro parole base per indicare la neve, dalla combinazione delle quali derivano altre forme.

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