Chi parlerà la lingua della flora

Con una risoluzione del dicembre 2019, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il periodo compreso tra il 2022 e il 2032 come il Decennio internazionale delle lingue indigene.
L’obiettivo, elaborato nel piano d’azione globale approvato a novembre 2021, è quello di richiamare l’attenzione sulla situazione critica di molte lingue indigene e mobilitare le risorse per la loro conservazione e promozione.
Secondo quelle che il Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite definisce «stime ottimistiche», almeno il 50% delle lingue parlate oggi sarà estinto o «seriamente minacciato» entro il 2100. Insieme a loro rischia di estinguersi un patrimonio di conoscenze spesso intraducibile.
«Ogni volta che una lingua indigena muore è come se una biblioteca stesse bruciando, ma non la vediamo perché è silenziosa», dichiara Rodrigo Cámara Leret, che al World Biodiversity Forum di Davos in calendario dal 26 giugno al 1° luglio ha presentato uno studio sulla perdita di conoscenze mediche relative alle piante curative collegata all’estinzione linguistica.
«La gran parte della conoscenza medica è linguisticamente unica, cioè conosciuta da una singola lingua, e più fortemente associata alle lingue minacciate che alle piante minacciate», spiega Cámara Leret. «Ogni lingua indigena è quindi un serbatoio unico di conoscenze medicinali, una stele di Rosetta per svelare e conservare i contributi offerti dalla natura alle persone».
Lo studio mappa gli usi delle piante medicinali e le lingue indigene in tre regioni con un’elevata diversità bioculturale: Nord America, Amazzonia nord-occidentale e Nuova Guinea.
I ricercatori hanno rilevato circa 12.000 usi medicinali per più di 3.500 piante associati a 236 lingue, riscontrando che oltre il 75% di questa conoscenza risiede solo in una di queste lingue.
Nell’Amazzonia nord-occidentale, le lingue in via di estinzione rappresentano il 100% della conoscenza unica delle piante medicinali, valore che si attesta all’86% in Nord America e scende al 31% in Nuova Guinea. «Stiamo perdendo conoscenza a un ritmo superiore alla biodiversità», afferma Jordi Bascompte, ecologista dell’Università di Zurigo e coautore dello studio.
«La complessità delle piante medicinali è una conoscenza territoriale», ha testimoniato a Science Uldarico Matapí Yucuna, considerato l’ultimo sciamano dei Matapi, un gruppo indigeno composto da meno di 70 persone che vivono lungo il fiume Mirití-Paraná nella foresta amazzonica. «Quando distruggi un territorio», ha concluso, «distruggi la natura, la conoscenza, le nostre pratiche e la nostra vita».