Futuro

Negli Stati Uniti il ritorno in classe è stato procrastinato. In Italia (forse) no.

L’ondata di casi di Covid legati alla variante Omicron sta mettendo a dura prova i piani di riapertura delle scuole negli Stati Uniti. E in Italia? Oggi il Premier Draghi si è incontrato con i ministri Bianchi e Speranza sul tema: il Governo non vuole posticipare la ripartenza delle scuole prevista tra il 7 e il 10 gennaio.
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
4 gennaio 2022 Aggiornato alle 17:00

L’ondata di casi di Covid legati alla variante Omicron sta mettendo a dura prova i piani di riapertura delle scuole negli Stati Uniti. Numerosi istituti hanno ritardato o ritarderanno il ritorno in classe previsto dopo la pausa invernale, sia per fermare la diffusione del contagio, sia per la carenza di personale risultato positivo.

Alcuni distretti, come quelli di Cleveland, in Ohio, e di Newark in New Jersey, hanno annunciato che per un certo periodo passeranno al remote learning, la nostra didattica a distanza. Le chiusure sembrerebbero per ora concentrate in regioni, come il nord-est e il Midwest, dove i politici democratici e i sindacati degli insegnanti hanno adottato un approccio più cauto nel gestire le scuole dall’inizio della pandemia. Lo scorso anno, in queste zone, le riaperture erano arrivate dopo mesi di chiusure: per esempio nel ricco sobborgo di New York, Montclair, i corridoi si sono ripopolati a fine gennaio 2021. Non si vedeva anima viva da marzo dell’anno precedente.

La speranza è che, stavolta, le chiusure rubino meno lezioni in presenza agli studenti. Ma diversi istituti hanno già posticipato il rientro. Tutti i 75 mila studenti che frequentano le scuole pubbliche a Milwaukee, nello stato del Wisconsin, nel nord est degli Stati Uniti, torneranno all’apprendimento virtuale per almeno una settimana a causa di un focolaio scoppiato tra il personale scolastico. Detroit, la città del Michigan che ha toccato il tasso di positività più alto dall’inizio della pandemia (36%), ha sospeso temporaneamente le lezioni da lunedì a mercoledì per evitare la diffusione del virus tra gli 8mila dipendenti scolastici e i 50mila studenti. I contagi ne hanno già colpiti numerosi, svuotando corridoi, aule, cattedre. Anche le scuole di alcuni distretti di Atlanta, nel sud est del Paese, hanno scelto di posticipare il ritorno in presenza e iniziare il 2022 con le lezioni a distanza. Secondo il sito Burbio, che tiene traccia delle interruzioni scolastiche, questa settimana ne sono state registrate 2750. Alcune ricominceranno in presenza il 14 gennaio, altre il 18. Ma le previsioni non servono a un granché.

Nella maggior parte del Paese, però, c’è chi prende le misure per evitare la didattica a distanza: nel distretto di New York, il più grande di tutti gli Usa, agli studenti contagiati dal Covid verranno forniti tamponi per testarsi per una settimana. Un modo per verificare con sicurezza quale sia il momento giusto per tornare in classe, senza precludere le lezioni agli altri. Il sistema scolastico pubblico della California, il Los Angeles Unified School District, richiederà a tutti i suoi 640mila studenti e al personale di mostrare un test negativo prima che le lezioni riprendano, regolarmente, l’11 gennaio. E anche a Washington studenti, insegnanti e personale scolastico delle scuole pubbliche dovranno mostrare un tampone negativo prima di rientrare.

Come riporta il New York Times, molte scuole non hanno abbastanza test per il coronavirus e i presidi hanno segnalato un gran numero di insegnanti e altri dipendenti che si sono dati malati. Non solo perché sono stati contagiati, ma perché si devono prendere cura dei propri familiari, o ancora perché temono per le condizioni all’interno degli edifici scolastici. Secondo Reuters, negli Usa il numero di nuovi casi è raddoppiato negli ultimi sette giorni a una media record di 418.000 al giorno. I decessi sono rimasti abbastanza stabili, rimanendo a quota 1.300 in media ogni giorno. Sindacati, politici ed educatori ora dicono tutti di volere che le scuole rimangano aperte. Ma si teme che la nuova variante Omicron possa spingere molti altri distretti a chiudere, almeno temporaneamente.

E in Italia? Oggi il Premier Draghi si è incontrato con i ministri Bianchi e Speranza sul tema: il Governo non vuole slittare la ripartenza delle scuole prevista tra il 7 e il 10 gennaio. E la didattica a distanza non sembra essere contemplata.

Ciononostante in molti si sono espressi favorevoli alla dad: Massimo Galli, già direttore di Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano, ha dichiarato che se la campagna di vaccinazione e la riapertura in sicurezza dovessero posticipare il rientro di “una settimana o 15 giorni di lezioni, che possono essere recuperati successivamente, non è una tragedia. Non nego di essere preoccupato per il rientro nelle aule”.

Anche alcuni presidenti di Regione opterebbero per un rientro più cauto: Vincenzo De Luca parla di 20/30 giorni per “raffreddare il picco di contagio”, Luca Zaia tifa per la ripartenza, ma “se ce lo consigliassero gli scienziati, non sarebbe una tragedia rinviare all’inizio di febbraio”. Zaia ha aggiunto che gli studenti non sono untori e non hanno responsabilità di quanto sta accadendo. Eppure, in molti luoghi del mondo, sono i primi, insieme ai loro genitori, a subirne le conseguenze.

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