Diritti

#Fetrah: così l’omofobia diventa virale

Esistono solo due generi e l’omosessualità è un comportamento deviante della natura umana. Questa la tesi di una campagna social per promuovere la violenza contro la comunità Lgbtq+
Credit: Adrian Swancar
Tempo di lettura 5 min lettura
15 agosto 2022 Aggiornato alle 21:00

È nato un nuovo movimento sui social network e su Internet che ha preso di mira la comunità Lgbtq+, con l’obiettivo di promuovere il rifiuto dell’identità di genere non binaria e dell’omosessualità. Si chiama #Fetrah.

#Fetrah in italiano significa ‘’istinto naturale, primitivo’’ e forse non esiste termine più appropriato per questa campagna che porta con sé un’ondata spaventosa di violenza, odio e discriminazione e riconduce a quell’idea preistorica che si presumeva fosse superata.

Partita dall’Egitto a fine giugno (non a caso il mese dell’orgoglio Lgbtq+), la campagna omofoba si è diffusa rapidamente in vari Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa (basti pensare che solo in Marocco, a luglio, #Fetrah è stato il primo trending hashtag per qualche giorno, generando più di 13.000 tweet), fomentando sempre di più l’odio e la violenza nei confronti della comunità arcobaleno e catturando l’attenzione internazionale.

L’idea è da attribuire a tre specialisti di marketing egiziani che dal 22 giugno hanno deciso di dare vita al movimento omofobo lanciando la campagna tramite vari account su Facebook, Twitter e Instagram, e aprendo un canale Telegram che ha radunato 15 mila contatti in poche settimane, oltre a un sito web con una homepage tappezzata, in diverse lingue, dallo slogan ‘’Basta Lgbtq+’’ a segnalare il categorico rifiuto dell’omosessualità, condannata in quanto comportamento deviante della natura umana.

Tramite i loro canali, gli ideatori incoraggiano i seguaci a rifiutare le idee occidentali su omosessualità e identità di genere, spingendoli a condividere immagini omofobe e violente e invitandoli a utilizzare come immagine del profilo il simbolo della campagna: una bandiera tanto minimal nel contenuto quanto ricca di significato (ma povera nella qualità).

La bandiera di #Fetrah, infatti, non è altro che uno sfondo diviso in due metà, una colorata d’azzurro chiaro (tradizionalmente il colore dei maschi) e una colorata di rosa acceso (colore associato alle femmine), a sottolineare il messaggio alla base del movimento: esistono solo due generi nell’essere umano. O sei uomo o sei donna.

La community di #Fetrah ha adottato subito la bandiera come simbolo della protesta omofoba, utilizzandola nei propri profili, spesso accompagnata da messaggi invocanti la legge islamica e da versi del corano, nonostante una delle tre menti creatrici, Abdullah Abbas, abbia chiarito come il movimento non abbia matrice religiosa, dal momento che il suo scopo è quello di raccogliere sostenitori e consensi in tutte le parti del mondo, espandendo a macchia d’olio il clima di odio e violenza.

«Seguendo l’hashtag, anche senza passare necessariamente dalla pagina principale di #Fetrah, è possibile leggere i post di molte persone che chiedono di uccidere i membri della comunità Lgbt», ha detto allarmato Wajeeh Lion, un sostenitore Lgbtq+ apertamente gay, originario dell’Arabia Saudita ma che ora vive sotto asilo politico negli Stati Uniti, tra i primi a denunciare la pericolosità della campagna.

A causa delle idee che inneggiano alla violenza, Meta aveva provveduto a bannare gli account Facebook e Instagram di #Fetrah subito poco dopo la creazione (pur con un sostanzioso seguito già di mezzo milione di followers totali), tuttavia il movimento non ha mai interrotto la sua corsa, continuando a creare profili sulle due piattaforme e a raccogliere consensi e supporters.

Sorprende e lascia sgomenti, invece, la reazione di Twitter, piattaforma su cui il movimento continua a correre con oltre 75.000 seguaci: il social non ha preso alcun provvedimento per fermare la campagna di odio. Lo stesso Abbas ha dichiarato che, sebbene l’account ufficiale abbia ricevuto molte segnalazioni, Twitter gli ha inviato una notifica per rassicurare che il profilo non sarebbe stato chiuso, non avendo violato gli standard della sua community (rispetto ad altre piattaforme, Twitter ha una soglia molto alta quando si tratta di contenuti offensivi).

«L’eccessiva censura potrebbe diventare un problema su alcune piattaforme, ma specialmente su Twitter notiamo che esiste il fenomeno contrario, in particolar modo quando si parla di molestie e contenuti offensivi rivolti alle comunità vulnerabili. - ha dichiarato Mahsa Alimardani, esperta di marketing digitale - Con Fetrah osserviamo la realtà in cui vive la comunità Lgbtqia+ in Medioriente e nelle regioni nordafricane. È indegno che Twitter non stia agendo in fretta per arginare il fenomeno».

Sono centinaia gli attivisti per i diritti Lgbtq+ che si sono mossi per fermare la campagna: «Abbiamo sperimentato un’ondata gigantesca di hate speech verso la comunità Lgbtqia+ nei nostri paesi, aumentata in risposta al Pride Month – ha dichiarato uno di loro- Twitter si sta prendendo una responsabilità non indifferente nel lasciare che certi fenomeni accadano. Credo che i moderatori non arrivino a realizzare il contesto in cui Fetrah viene perpetrata, e non siano aperti ad ascoltare le nostre preoccupazioni. È una forma di hate speech particolarmente dannosa e pericolosa per l’incolumità delle persone, da queste parti».

Non c’è arcobaleno che tenga di fronte all’arrivo di nuvole grigie di un temporale. Non c’è colore che resista se occultato da una pennellata di nero.

Così, i colori dell’arcobaleno Lgbtq+ oggi vengono sbiaditi e cancellati da una tempesta d’odio scatenata dalla campagna violenta di #Fetrah.

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