Ambiente

Pesce a tavola per la Vigilia? Sì, ma sostenibile

Nel 2018 record assoluto di produzione ittica e acquacoltura mondiale: 179 milioni di tonnellate. Secondo Greenpeace, meglio privilegiare la pesca locale
di Redazione
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24 dicembre 2021 Aggiornato alle 10:59

La vigilia di Natale porta in tavola il pesce. Lo aveva raccontato anche il New York Times nel 2020, attribuendo alla tradizione italiana la cosiddetta “Festa dei sette pesci”: un’usanza dell’Italia meridionale che nessuno, dalle nostre parti, ha in realtà mai sentito nominare. Ma il cenone del 24 dicembre - su questo hanno ragione gli americani - nel nostro Paese è sinonimo di pesce. Lo dobbiamo alla tradizione cattolica, che prevede il digiuno dalla carne prima di Natale. Oggi, come accade per tutte le attività legate al consumo, anche di questa va giudicato il grado di sostenibilità: Greenpeace ha stilato un decalogo che spiega come rispettare l’ambiente anche durante le festività. Bene: un punto è interamente dedicato al pesce. Bisogna scegliere quello giusto, evitando per esempio merluzzo, salmone, gamberi, tonno rosso e pesce spada. “Preferiamo il pesce fresco locale”, dice l’organizzazione ambientalista, “che viene offerto dalla piccola pesca artigianale”.

A fare così, infatti, freneremmo il ritmo della pesca e dell’allevamento internazionale. Il mercato ittico che soddisfa la maggior parte della richiesta di pesce a basso costo è quello di Asia, Sud America e Africa. Secondo un rapporto della FAO, nel 2018 la produzione ittica e dell’acquacoltura mondiale - l’allevamento industriale in acqua dolce o salata di pesci, molluschi, crostacei - ha raggiunto il primato assoluto di quasi 179 milioni di tonnellate. Il 54% del pescato, pari a 96,4 milioni di tonnellate, è poi frutto della pesca marittima per il mercato globale, solo il 46% ha una destinazione locale. Nel 2017 il WWF ha creato una guida per un consumo sostenibile di pesce.

È diritto di ogni cittadino dell’Unione europea conoscere la “identità” completa del pesce acquistato: la sua provenienza, se è fresco o congelato, pescato o allevato. In mancanza di queste informazioni, meglio non comprarlo. Inoltre, chiedere al proprio pescivendolo di fiducia quali siano le specie locali è un’ottima prassi. Delle 500 specie presenti nel Mediterraneo solo una ventina sono quelle portate in tavola: diversificarle garantisce una pressione più bilanciata sulle risorse marine. E fa bene anche al portafoglio tra l’altro, perché i pesci meno conosciuti spesso costano meno.

Bisogna anche considerare anche un altro aspetto: un pesce troppo giovane non ha avuto il tempo di riprodursi, dunque fare attenzione a consumarne uno adulto contribuisce a ricostruire le risorse ittiche. In generale, esistono due marchi che garantiscono una scelta sostenibile: quello blu di MSC (l’organizzazione internazionale non-profit Marine Stewardship Council) e quello azzurro di ASC (Aquaculture Stewardship Council, ideato proprio dal WWF). O, in alternativa, il pesce biologico: con quello si va sul sicuro.