Ambiente

Spegneresti l’aria condizionata?

Climatizzatori e frigoriferi raffreddano noi e il nostro cibo, ma riscaldano il Pianeta. Esistono soluzioni alternative a basso impatto ambientale
Dewi karuniasih/unsplash
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Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
7 giugno 2022 Aggiornato alle 07:00

Più di trent’anni fa tutti i 198 Paesi del mondo firmarono il Protocollo di Montreal, un documento che elencava tutte quelle sostanze chimiche dannose per lo strato di ozono terrestre: decisero che le avrebbero eliminate gradualmente, in particolare i clorofluorocarburi e gli idroclorofluorocarburi, quelli utilizzati dall’industria del raffreddamento e della refrigerazione.

Vennero poi trovate varie alternative, tra cui idrofluorocarburi (HFC). Che, però, nonostante non causino lo stesso danno dei CFC, hanno un potenziale di riscaldamento da centinaia a migliaia di volte superiore a quello della CO2, cosa che rende il loro crescente utilizzo globale motivo di preoccupazione.

Ora che la domanda di prodotti di refrigerazione e climatizzazione sta crescendo anche nei Paesi in via di sviluppo, è bene pensare a soluzioni alternative: secondo un report del 2020 del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, due anni fa in circolazione c’erano circa 3,6 miliardi di apparecchi per il raffreddamento di edifici, di alimenti e altri prodotti come i medicinali.

Questo numero, secondo le previsioni, dovrebbe salire a 9,5 miliardi entro il 2050 e potrebbe raggiungere quota 14 miliardi se solo tutti coloro che necessitano di servizi di raffreddamento potessero permetterseli. Lo ha stimato uno studio dell’Università di Birmingham, nel Regno Unito: l’aumento vertiginoso del fabbisogno globale di raffreddamento potrebbe vedere il consumo mondiale di energia per il raffreddamento aumentare di cinque volte nei prossimi 30 anni.

Si prevede che la domanda di condizionatori d’aria, infatti, crescerà notevolmente nei prossimi decenni, di pari passo con la popolazione, che si raduna sempre più nelle città: più il mondo diventa caldo, più le persone spendono soldi per acquistare queste tecnologie.

L’ingegnera ambientale presso la School for Environment and Sustainability dell’Università del Michigan, Shelie Miller, ha rilasciato un’intervista al sito di informazione Knowable Magazine proprio sulla crescente domanda globale di raffreddamento e refrigerazione: è stata coautrice di un articolo all’interno della “Revisione annuale dell’ambiente e delle risorse” pubblicata a ottobre del 2021, dove aveva spiegato che “l’industria dei servizi di raffreddamento è attualmente responsabile di oltre il 10% delle emissioni globali di gas serra”.

Perché il raffreddamento di un ambiente richiede enormi quantità di energia, «che si tratti di un frigorifero domestico o di un condizionatore d’aria. […] Poiché le nostre reti elettriche dipendono fortemente dai combustibili fossili, qualsiasi uso di energia che va a ridurre la temperatura emette anche gas serra», ha spiegato Miller.

Quando si parla di tecnologia degli ambienti di raffreddamento, è necessario considerare i cosiddetti “refrigeranti”, sostanze chimiche utilizzate per ridurre le temperature: un tempo erano i clorofluorocarburi, poi banditi dal Protocollo di Montreal, poi sono arrivati gli idrofluorocarburi. Questo ha migliorato la situazione per l’ozono, ma non per il riscaldamento globale, alimentando le emissioni di gas serra.

Parlando di eventuali soluzioni, «l’anidride carbonica può essere utilizzata come refrigerante alternativo utilizzando le proprietà termodinamiche dei gas e metodi comuni alle tecnologie delle pompe di calore», spiega Miller. Per capirci meglio, «i sistemi di raffreddamento a base di CO2 utilizzano anidride carbonica altamente compressa e manipolano la pressione del gas: quando il gas si espande a causa della pressione ridotta, assorbe calore».

A differenza degli altri refrigeranti, la CO2 che fuoriesce da questi sistemi di raffreddamento ha un potenziale di riscaldamento minimo.

Il problema, nell’installarli, è sostituire gli HFC presenti in edifici, frigoriferi e condizionatori, che sono più impattanti al termine del loro ciclo di vita. Nel frattempo «si potrebbero modificare i comportamenti dei consumatori, impostando un ambiente meno freddo in uffici e spazi residenziali».

Per gli interventi più indiretti, invece, bisognerebbe ripensare a una progettazione più sostenibile dei nuovi edifici, «riducendo gli effetti delle isole di calore urbane, con carichi di aria condizionata e refrigerazione variabili in base all’ora del giorno e alle effettive necessità».

Come spiega Miller, l’emendamento di Kigali al Protocollo di Montreal sta cercando di eliminare gradualmente i refrigeranti ad alto potenziale di riscaldamento globale a favore di quelli a basso potenziale. Ma ci vorrà del tempo. E poi ci sono gli elettrodomestici ad alta efficienza energetica, ovvero a minor consumo energetico.

«Spesso, quando proviamo a pensare a ridurre gli impatti ambientali della tecnologia, tendiamo a concentrarci sulla tecnologia stessa, ma dovremmo fare un passo indietro e pensare al motivo per cui stiamo utilizzando quel servizio», dice Miller.

A livello globale, per esempio, sprechiamo circa il 40% del nostro cibo e nei Paesi in via di sviluppo questo avviene principalmente lungo tutta la catena di approvvigionamento, ancor prima di raggiungere il consumatore, «in gran parte a causa della mancanza di servizi di raffreddamento: ma, riducendo gli sprechi alimentari, ridurremmo anche la necessità di più servizi di raffreddamento, e questo comporterebbe un’ulteriore riduzione degli impatti dell’agricoltura e dei servizi associati all’intera filiera alimentare».

Insomma, dobbiamo iniziare a consumare e sprecare meno - cibo, fresco, e cibo fresco. Ce la faremo?

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