Ambiente

Il buco dell’ozono si è riaperto a causa degli incendi

Secondo uno studio pubblicato dal Massachusetts Institute of Technology, il fumo emesso durante la Black Summer australiana tra il 2019 e il 2020 ha assottigliato l’ozonosfera dell’1%. Ci vorranno 10 anni affinché si rimargini
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
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4 marzo 2022 Aggiornato alle 07:00

Che l’atmosfera terrestre non goda di ottima salute è risaputo. E c’era da aspettarsi che gli incendi in Australia non avessero aiutato. Tra il 2019 e il 2020, le fiamme divampate per 240 giorni hanno divorato, nella loro corsa inarrestabile, 43 milioni di acri di terra, con conseguenze devastanti: in primis la morte di 33 persone, la distruzione di 3.000 abitazioni, e la fuga e l’uccisione di 3 miliardi di animali. Ma, non solo.

Per la prima volta è stato dimostrato un nesso di causa-effetto tra gli incendi sul suolo australiano e una complessiva riduzione dell’ozono.

A rivelarlo è uno studio pubblicato dal Massachusetts Institute of Technology (Mit): “On the stratospheric chemistry of midlatitude wildfire smoke”. Il team internazionale di ricercatori - tra i tanti, Kane Stone, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Atmosfera e del Planetario del MIT, insieme a collaboratori provenienti dall’Università del Saskatchewan, dal Centro nazionale per la ricerca atmosferica, dall’Università di Colorado a Boulder e persino dalla NASA - ha registrato un assottigliamento dell’ozonosfera - che si colloca nel secondo strato dell’atmosfera (la stratosfera) - dell’1%.

Sembrerebbe una cosa di poco conto, ma potrebbero servire 10 anni affinché si riformi. Del cosiddetto “buco dell’ozono” - la diminuzione di molecole di triossigeno nella stratosfera, in prossimità dell’Antartide - se ne parla ormai da tempo e solo nel 2020, a vari decenni di distanza dalle misure di contenimento delle emissioni disposte dal Protocollo di Montreal del 1987, se ne era finalmente annunciata la “chiusura”.

Quando la furia del fuoco si è placata, il fumo prodotto si è addensato formando una nuvola enorme, 3 volte più estesa di qualsiasi altra nuvola di fumo sino a ora studiata. Salendo fino a 35 km dalla superficie terrestre, ha generato una dispersione nell’aria di oltre 1 milione di tonnellate di particelle. Monitorandola via satellite, gli scienziati hanno appurato che tra marzo e agosto 2020, il fumo a contatto con le molecole di azoto dell’atmosfera ha scatenato una reazione chimica responsabile della diminuzione dell’ozono. Per verificarlo, i ricercatori hanno compiuto una serie di simulazioni atmosferiche, servendosi di un modello tridimensionale globale, in grado di riprodurre centinaia di reazioni chimiche dell’atmosfera.

L’amara coincidenza è che l’impatto degli incendi ha finito per annullare i risultati positivi (proprio dell’1%) ottenuti negli ultimi anni grazie agli sforzi per ridurre le emissioni.