Economia

Per i giovani ci vuole il reddito universale incondizionato

Intervistato da La Svolta l’ex ministro Lorenzo Fioramonti propone un sussidio permanente per tutti che permetta di creare fiducia per il futuro delle nuove generazioni e garantire stabilità al sistema sociale
Lorenzo Fioramonti, economista e deputato dei 5S. È stato ministro dell’Istruzione nel Governo Conte Bis.
Lorenzo Fioramonti, economista e deputato dei 5S. È stato ministro dell’Istruzione nel Governo Conte Bis.
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29 ottobre 2021 Aggiornato alle 10:00

La nuova manovra economica è stata approvata ieri. Ancora una volta il problema delle pensioni è stato rimandato. Sembra un nodo irrisolvibile per l’Italia. Ogni anno, in ogni manovra di Bilancio, le pensioni mettono a dura prova Palazzo Chigi e la maggioranza che la sostiene. Anche in questi giorni il balletto si è ripetuto: il braccio di ferro tra Governo e sindacati è finito in un nulla di fatto. Partita rimandata.

Una faccenda molto spinosa, sulla quale grava sempre un’altra questione, che nel nostro paese rappresenta quasi un tabù: le pensioni dei giovani. Un’utopia apparentemente irraggiungibile.

Su questo tema La Svolta ha intervistato Lorenzo Fioramonti, economista e deputato dei 5S, che è stato ministro dell’Istruzione nel Governo Conte Bis, carica dalla quale si è dimesso dopo solo tre mesi perché dal Bilancio 2020 mancavano 3 miliardi di fondi per la scuola italiana.

Qual è la prospettiva pensionistica per i giovani italiani secondo lei?

Ormai le giovani generazioni hanno fatto pace sul fatto che non avranno un sistema pensionistico come quella dei loro genitori e nonni. Ovviamente questo è un gravissimo problema perché abbiamo bisogno di una generazione che sia in grado di rischiare e che non abbia paura del futuro e, ovviamente, meno protezione hai, meno rischi ti prendi. Sono molto convinto visto che stiamo andando verso una situazione in cui sarà sempre più difficile mantenere il sistema pensionistico tradizionale, avremo bisogno di un reddito universale incondizionato, cioè di una base di reddito che venga data a tutti quelli vivono in un Paese. Questa è la condizione fondamentale per fare in modo che le persone abbiano un minimo di sicurezza – può essere un reddito sui livelli di povertà, non deve essere particolarmente significativo – ma soprattutto perché siano in grado di rischiare, che siano abituati all’idea di cambiare lavoro 10 volte nella vita e che soprattutto siano self imployed, quindi, in grado di fare un’attività di impresa autonoma. Per fare questo è necessario avere un minimo di spalle coperte perché non tutti hanno mamma e papà che li aiutano. Quindi, lo Stato deve dare un minimo di sussistenza a tutti per rilanciare l’economia.

Sembra che ci sia una costante volontà della politica italiana di procrastinare tutte le urgenze del nostro Paese, dalla questione delle pensioni a quella della riduzione delle emissioni. Cosa ne pensa?

Sì, decisamente. È un atteggiamento molto italiano. Sì, infatti ci ritroveremo in una situazione paradossale: le giovani generazioni di oggi si troveranno senza alcuna copertura economica e avranno tutti i debiti economici ed ecologici lasciate dalle generazioni precedenti. I boomers, nati negli anni 50 e 60, hanno fatto razzia di tutto: si sono fatti fuori tutti i soldi e hanno lasciato solo la spazzatura, per dirla in maniera colorita.

Negli altri Paesi europei come è affrontata la questione delle pensioni dei giovani?

La questione è molto sentita perché il calo demografico è diffuso ovunque. In molti Paesi del nord Europa esiste il reddito di sussistenza per tutti. Quelli più in difficoltà sono i Paesi del sud, Italia e Grecia in primis. Però, va considerato che nel resto d’Europa si va in pensione più tardi rispetto all’Italia, ma l’economia e il sistema di lavoro sono molto più garantiti: lavorare negli altri Paesi è meno stancante rispetto all’Italia. I lavoratori hanno molti giorni di ferie, si può lavorare da casa senza problemi, ci sono diversi sistemi di garanzia e tutela, il trasporto pubblico funziona. Quindi, arrivare fino a 67 anni per lavorare non è un problema. Mentre da noi i lavoratori devono farsi carico di tutto: del mezzo di trasporto per arrivare in ufficio, della gestione dell’organizzazione della famiglia perché non ha l’asilo sotto casa, insomma, si devono dare molto da fare su molti fronti e, quindi, arrivano a 64 anni che non ce la fanno più.

Quindi consiglia a Draghi di seguire l’esempio dei Paesi del nord Europa?

Sì, risolviamo il problema pensionistico per i giovani garantendo a tutti un minimo di sussidio che possa generare la nascita di nuove imprese, più effervescenza economica e, quindi, che permetta al sistema sociale di avere maggiore instabilità.