Diritti

La trap sulle Brigate Rosse non è una provocazione

Solo una visione ingannevole e distorta della democrazia può portare a usare la musica per fare apologia al terrorismo
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7 maggio 2022 Aggiornato alle 06:30

“Zitto zitto, pagami il riscatto, zitto zitto, sei su una Renault 4” è la strofa della band trapper “P38” che il primo maggio si esibiva sul palco dello storico circolo Arci a Reggio Emilia in una tappa della tournée italiana che loro stessi hanno battezzato Br Tour. Il nome della band “P38”, pistola simbolo del terrorismo, è oltretutto racchiuso dentro la caratteristica stella a cinque punte che per la prima volta apparve nel 1970 presso uno stabilimento della Sit-Siemens a Milano su un volantino firmato Brigata Rossa.

Rimandare ai fondamenti di quell’organizzazione e a quel tempo buio non può essere mai considerata, neppure per un attimo, una semplice “provocazione”, come inizialmente è stato fatto dal presidente del circolo locale, per fortuna smentito dal presidente regionale Arci, il quale si è dissociato dal fatto che ha definito “gravissimo” e ha ricordato la natura non violenta e pacifista dell’associazione “che non dimentica le atrocità degli anni di piombo”.

Forse ha aiutato il senso di riprovazione manifestato da chi ancora porta le ferite nell’anima e nel cuore, come Lorenzo, figlio di Marco Biagi, ucciso nel 2002 a Bologna da un commando delle Nuove Brigate Rosse, che sui social ha scritto: “le cose schifose sono due: la prima è che il titolare del locale li ha difesi dopo l’esibizione e la seconda è che non è la prima volta che questo “gruppo” viene invitato nei locali. Mi fermo qui io, Lorenzo, figlio di Marco Biagi ucciso, e non dico altro”.

È il caso di ricordare, a chi quel tempo non l’ha vissuto, che le Brigate Rosse non erano una semplice organizzazione politica, ma la più pericolosa ed eversiva di estrema sinistra che per tutti gli anni settanta e fino al 1988 ha messo in atto una serie di azioni terroristiche contro persone e luoghi simbolo seminando decine di vittime, terrore e un pregiudizio gravissimo al normale svolgimento della vita democratica che non ha avuto paragoni in altri Paesi.

Per questo è necessario ricondurre questa scellerata forzatura dei fatti della storia, in qualunque ambito si verifichi, dentro l’alveo della fattispecie denominata “apologia di terrorismo”, come ben prescritta e punita dall’art. 270 del codice penale e non avere esitazioni di nessun tipo verso chi propaganda l’uso della violenza e del terrore.

Pensare che vi sia un ambito di espressione artistica che possa varcare impunemente i confini costituzionali in nome di una falsa libertà di manifestazione del pensiero fa parte di una visione ingannevole e dannosa della democrazia da contrastare con chiarezza e determinazione. «Music organizes society. It creates and reinforce bonds among people» scrive Celia Applegate in uno straordinario saggio (The Necessity of Music) nel quale dimostra la potenza costruttiva di legami sociali della musica e della sua capacità di organizzare la società.

È anche attraverso i testi delle canzoni che si creano identità e cultura e che entrambe contribuiscono al processo di costruzione nazionale. Sui principi fondamentali non si accettano sconti o leggerezze che potrebbero diffondere semi anti-democratici nel corpo della società, la quale invece deve possedere solidi anticorpi contro ogni attentato o attacco alla democrazia.

Sui concerti del gruppo musicale che si spera non verrà mai più ospitato in nessuno spazio pubblico e privato sono in corso accertamenti della Digos richiesti dall’autorità giudiziaria, e che speriamo presto porteranno anche all’eliminazione dei loro versi terribili dal pervasivo mondo del web e del canale You Tube.