Ambiente

Banche e combustibili fossili: chi le finanzia e chi si impegna per non farlo

Le principali banche mondiali continuano a investire nei combustibili fossili, ma un gruppo di 17 banche si è unito a organizzazioni e società civile con l’intento dichiarato di smettere di finanziarli
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29 aprile 2024 Aggiornato alle 16:00

In tutto il mondo le banche stanno continuando a finanziare l’uso dei combustibili fossili, responsabili dell’86% delle emissioni globali di CO2.

Secondo il report Banking on Climate Chaos pubblicato nel 2023, da quando è stato firmato l’Accordo di Parigi, le banche mondiali hanno investito 5,5 trilioni di dollari nei combustibili fossili.

In base a questi dati, se le banche e i gestori patrimoniali più grandi degli Stati Uniti fossero un Paese, sarebbero da sole il terzo Paese al mondo per emissioni, dietro Cina e Stati Uniti.

Nel 2021, alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Glasgow, le principali banche occidentali si sono impegnate a ridurre la propria impronta di carbonio e a investire in iniziative verdi, con l’obiettivo di raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050.

Tuttavia, proprio le principali 12 banche mondiali, tra cui JP Morgan, Wells Fargo, Barclays e Bnp Paribas, tra 2016 e 2022 sono state quelle che hanno fornito più prestiti e sottoscrizioni ai combustibili fossili, dice il report.

Di fronte a impegni finora inconsistenti e a scarsi risultati raggiunti in termini di disinvestimento da parte delle banche più potenti, altre 17 hanno di recente scelto di unirsi all’appello di società civile e associazioni che si battono contro il cambiamento climatico per chiedere ai governi di negoziare un trattato vincolante per porre fine all’uso dei combustibili fossili.

Le aderenti fanno parte della Global Alliance for Banking on Values, una rete di banche indipendenti di 45 Paesi che si propongono di utilizzare la finanza per realizzare uno sviluppo economico, sociale e ambientale sostenibile.

Il loro impegno ruota ora attorno al Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili, che mira a raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi agendo a livello globale per “porre fine all’espansione del carbone, del petrolio e del gas e, infine, eliminare in modo equo la produzione esistente”.

L’iniziativa è guidata da un comitato composto da 1.800 organizzazioni, attivisti, movimenti indigeni, 3.000 esperti e accademici, 75 grandi città (tra cui Roma e Torino in Italia), 101 Premi Nobel e 570 parlamentari in tutto il mondo.

Sebbene l’Accordo di Parigi abbiano fissato di non superare l’aumento di 1,5 °C della temperatura globale entro il 2050, le politiche di molti governi non stanno andando in questa direzione.

La maggior parte di essi continua infatti ad approvare nuovi progetti nel settore del carbone, del petrolio e del gas e, nonostante gli impegni sul clima, i governi prevedono di produrre ancora circa il 110% in più di combustibili fossili entro il 2030, rivela il Production Gap Report 2023 del Programma delle nazioni unite per l’Ambiente (Unep).

David Reiling, presidente della Global Alliance for Banking on Values e amministratore delegato di Sunrise Banks, ritiene che il settore finanziario globale debba svolgere un ruolo fondamentale riunendo la comunità imprenditoriale e spingendola verso la transizione dalla produzione di combustibili fossili.

Anche per questo motivo, alle imprese che aderiscono è richiesto di rendicontare e rafforzare il proprio impegno verso l’abbandono delle fonti fossili e la riduzione delle emissioni. «Il Trattato sui combustibili fossili è un accordo vincolante, che segnala che le imprese sono pronte e disposte ad assumersi questo impegno. Firmando questo Trattato, stiamo livellando il campo di gioco e guidando una transizione globale ed equa per soddisfare il nostro Impegno Net Zero entro il 2050», ha spiegato David Reiling.

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