Bambini

I papà di oggi vogliono tempo, tenerezza e cambiamento

La Festa del papà è una bella occasione per coccolare i babbi, spettinare i pregiudizi e cambiare il mondo
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23 marzo 2024 Aggiornato alle 09:00

C’erano una volta i papà. Anzi, c’erano tante volte, ché le storie dei papà sono tante e tutte diverse quanti sono i papà dall’inizio dei tempi. Ma sono anche una sola grande storia, quella del momento straordinario in cui un maschio è chiamato a prendersi cura di un cucciolo di umano e a farlo crescere. E poi ci sono i capitoli della storia, e cioè le varie epoche in cui i papà vivono le stesse cose e si assomigliano un po’ fra loro perché affrontano le stesse avventure.

Martedì scorso, il 19 marzo, in Italia si è svolta la Festa del papà. A differenza della Giornata Internazionale dei Diritti della Donna, che è stata pensata per cambiare il mondo e fare in modo che diventi un posto più giusto per le femmine, la Festa del Papà è una festa vera e propria. Serve a ringraziare e ricoprire di allegria i babbi. Ma perché le feste non potrebbero servire anche a cambiare il mondo?

I papà di oggi, quelli che alcuni chiamano “i nuovi padri” sono diversi da com’erano i loro padri. All’epoca dei tuoi nonni, infatti, essere un buon papà era molto diverso. Dai papà non ci si aspettava nessun aiuto nella cura dei bebè. A dire il vero, la cura era considerata una cosa da mamme, da femmine (quindi, da poco), così come la dolcezza e il lavoro in casa.

Ai maschi si chiedeva di lavorare e guadagnare, e di bilanciare la tenerezza delle mamme con la durezza e l’autorità. I papà dell’epoca dei tuoi nonni venivano chiamati “capifamiglia” perché, ai tempi, si pensava che gli uomini fossero i sovrani dei loro piccoli regni e che tutti, mogli e bambini, dovessero obbedire, anche se i capifamiglia, in famiglia, non si vedevano quasi mai.

C’è chi ancora oggi la pensa così, in Italia e in altri Paesi del mondo, ma le cose stanno visibilmente cambiando, perlomeno nella testa delle persone. Adesso i papà chiedono a gran voce la loro fetta di tenerezza, la loro dose di cura del bebè e della casa, la possibilità di esplorare alla pari con l’altro genitore questo luogo ancora sconosciuto che è la famiglia.

Uno degli strumenti più preziosi per farlo è il congedo paternità, cioè quei giorni obbligatori che i Paesi danno ai papà quando arriva un bebè. In Italia, le mamme hanno diritto a 5 mesi per prepararsi all’arrivo del piccolo, accoglierlo e accudirlo. I papà, invece, hanno diritto a 11 giorni striminziti, che sono il minimo raccomandato dall’Unione Europea. Ti sembrano pochi? Nel 2012, il congedo dei papà durava un giorno solo e, prima di allora, non esisteva proprio! La buona notizia è che, anche se non è lungo, il congedo se lo prendono sempre più papà: in 10 anni, sono quasi il triplo, circa 3 papà su 5.

Il congedo paternità è come un coltellino svizzero: aiuta tutti e tutte a fare di tutto. Aiuta i papà a creare un vincolo forte di amore e cura coi loro cuccioli. Aiuta le mamme, che condividono il peso e la responsabilità dell’accudimento e possono immaginare un po’ più liberamente il loro futuro insieme ai compagni, senza i ruoli fissi di un tempo col papà fuori a lavorare e la mamma chiusa in casa. Aiutano le aziende dove lavorano i papà, perché un lavoratore allegro e felice lavora con piacere, più a lungo, e si ammala di meno. Aiutano il Paese, perché quando due genitori si possono occupare del loro piccolo è tutto più facile e si può pensare, prima o poi, di fare altri bambini.

Bisogna dire che i papà e le mamme fanno lo sforzo di cambiare e di migliorarsi ma da soli non vanno molto lontano. Per fare famiglia ci vuole tutto un Paese: ci vogliono scelte coraggiose e umane da parte di chi ci governa e i soldi per poterle realizzare.

I maschi italiani sono quelli che, in Europa, fanno i figli più tardi, a 36 anni. È più tardi rispetto al resto d’Europa e molto più tardi rispetto all’Italia di 30 anni fa, dove si diventava papà a 25 anni. C’è un puzzle di motivi che spiega questo rimandare a lungo la famiglia: i soldi che non ci sono, il lavoro che va e che viene, le case sempre più care. La voglia che manca è raramente la prima causa.

I papà sono molto più avanti rispetto al governo e, spalleggiati dalle mamme, cercano di creare quel modello di genitore e di maschio che né loro né chi è venuto prima di loro hanno avuto il diritto di avere.

Quest’anno, purtroppo intorno a due bruttissime vicende che hanno riguardato le loro figlie, due papà hanno spiccato tra tutti, servendo da esempio di mitezza e tenacia, responsabilità e amore, coraggio ed empatia. C’è il signor Gino, padre di Giulia Cecchettin, uccisa dal suo ex fidanzato. E c’è il signor Roberto, padre di Ilaria Salis, la maestra ingiustamente imprigionata in Ungheria. A loro è toccato cambiare il mondo e si meritano una Festa del Papà tutti i giorni dell’anno.

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