Economia

5,7 milioni di lavoratori guadagnano meno di 11.000 euro l’anno

Tra le cause: impieghi part time e precarietà contrattuale, mentre i settori più in difficoltà sono il turistico e la Pubblica Amministrazione. Le persone più colpite, invece: donne e giovani. I dati Cgil
Credit: cottonbro studio 
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21 marzo 2024 Aggiornato alle 08:00

Secondo l’Ufficio Economia dell’Area Politiche per lo Sviluppo della Cgil, 5,7 milioni di dipendenti guadagnano in media meno di 11.000 euro lordi annui, a cui vanno aggiunti oltre 2 milioni di dipendenti con salari inferiori ai 17.000 euro l’anno.

Nel 2022, lo stipendio medio dei 16.978.425 lavoratori dipendenti del settore privato (secondo i dati Inps, esclusi gli agricoltori e il personale domestico) era 22.839 euro lordi annui: il 59,7% aveva un salario medio inferiore alla media generale.

Inoltre, la differenza tra la media salariale del settore pubblico e quello del privato è determinata in buona parte dal minor peso del part-time e della precarietà nell’ambito pubblico. E, sempre dallo studio, emerge anche come i lunghi ritardi nei rinnovi dei Ccnl - Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro

hanno portato a un’alta quota di lavoratori con salari e condizioni non aggiornate e adatte.

A determinare i bassi salari medi in Italia sono anche le professioni non qualificate, l’alta incidenza del part time involontario (57,9%, la più alta di tutta l’Eurozona) e del lavoro a termine (16,9%): mediamente, gli occupati a termine lavorano circa 155 giorni l’anno.

Il settore turistico, nello specifico, è precario: agenzie di viaggio, noleggio, alberghi, ristoranti sono i settori privati in cui gli impieghi poco salariati e a tempo determinato trovano maggiore spazio. Ma è anche la pubblica amministrazione in generale a contribuire (con oltre mezzo milione di addetti temporanei) e la scuola (con oltre 200.000 supplenti precari).

Il comparto scolastico è diventato uno dei più precari in assoluto. Come testimonia Uil Scuola, la quota di insegnanti a tempo determinato (con contratti da settembre a giugno o agosto) è raddoppiata rispetto al 2015, toccando nel 2023 il 24%, ovvero: 234.500 insegnanti circa su un totale di 943.000. E il dato raggiunge livelli preoccupanti tra i docenti di sostegno, che sono passati dal 29% del 2015 al 59% dello scorso anno.

Tuttavia, il livello di precarietà varia tra i settori; mentre la media di giornate lavorative nella manifattura è di 177, in alberghi e ristoranti questa scende a 115; ben più alta quella nell’istruzione, che si attesta a 196. Il settore alloggio e ristorazione ha anche la retribuzione media giornaliera più bassa, poco superiore ai 49 euro.

Il lavoro povero colpisce soprattutto giovani e donne. I lavoratori a termine sono per il 48,9%, under 35 e, sebbene apparentemente questa forma di impiego non sembri favorire un genere rispetto all’altro (52,4% uomini, 47,6% donne), è importante notare come gli uomini vantino un tasso di occupazione maggiore rispetto alle donne. Dunque, la popolazione femminile è maggiormente colpita dal precariato.

L’Italia, insieme alla Spagna, è stato nel 2021 il Paese in cui si è maggiormente fatto ricorso a forme di contratti a termine. Tuttavia, l’anno successivo il Governo di Madrid ha avviato riforme per ridurre la quota di precari (prima tra tutte la famosa Ley rider), mentre in Italia la tendenza è rimasta pressoché la stessa. A farne maggiormente le spese sono le lavoratrici under 30: quasi la metà nel 2021 aveva un contratto a termine.

Tutto ciò trova conferma anche nello studio Uil-Eures, basato su dati Inps, che evidenzia come nel 2022 solo il 17% dei contratti si configurasse a tempo indeterminato, mentre il 78,6% (circa 6,4 milioni) risultavano essere a termine, stagionali, in somministrazione o intermittenti; il 4,3% del totale, erano invece contratti di apprendistato.

Intanto, le misure a sostegno dei precari stanno via via diminuendo. Il reddito di cittadinanza, misura introdotta nel 2019, è stato ufficialmente abolito dalla Legge di Bilancio del 2023 e sostituito con l’Assegno di Inclusione e Supporto al Lavoro che, restringendo i requisiti di accesso, ha anche ridotto la platea di potenziali beneficiari, lasciando 2 milioni di persone senza più una forma di sostegno economico. Inoltre, è stato anche cancellato anche il sostegno all’affitto, introdotto pochi mesi prima, a cui tuttavia non ha fatto seguito alcuna introduzione di misure in merito.

Impieghi instabili, scarsamente remunerati e, nei peggiori casi, soggetti a sfruttamento lavorativo, impediscono a milioni di persone (soprattutto donne e giovani) di vivere il mondo del lavoro come un’esperienza sostenibile e produttiva.

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