Economia

I venti di guerra fanno volare il commercio di armi

2.500 miliardi di dollari di spesa a livello mondiale regalano profitti record e incrementi del valore azionario ai titoli di piccoli e grandi produttori di armamenti, mentre una proposta di legge italiana mette a rischio la trasparenza nei controlli di import-export
Credit: Kony Xyzx  

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1 marzo 2024 Aggiornato alle 11:00

Il post-pandemia sarebbe dovuto diventare il periodo della rinascita, ma si è trasformato invece in quello della guerra.

L’occupazione russa in Ucraina prima e successivamente il pogrom del 7 ottobre da parte di Hamas, a cui Israele ha risposto bombardando a tappeto Gaza, e per ultimo la crisi del Mar Rosso con gli attacchi diretti contro il sud di Israele e le navi mercantili fondamentali per il commercio internazionale a opera degli Huthi, gruppo armato yemenita. Sul piano geopolitico il mondo è sempre più frammentato e i governi nazionali fanno incetta di armi.

Dalle stime del Sipri, Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma, che realizza analisi e database sui volumi di compravendita di armamenti, si evince che la spesa militare a livello mondiale nel 2023 sia aumentata per la nona volta di seguito, fino a raggiungere i 2.500 miliardi di dollari.

Sono dati ancora provvisori, quindi ancora ritoccabili al rialzo, ma già è possibile prevedere che il ritmo «aumenterà anche quest’anno e per i prossimi anni, ma non per sempre», secondo il direttore dell’istituto Dan Smith.

Numeri diversi, ma comunque elevatissimi, sono rilevati dall’International Institute for Strategic Studies, secondo cui i membri della Nato (esclusi gli Stati Uniti) spendono ora il 32% in più per la difesa rispetto ai dati del 2014, arrivando nell’ultimo anno a una spesa globale di 2,2 trilioni di dollari.

Qualche settimana fa, durante un comizio per le presidenziali americane, Donald Trump aveva scioccato il mondo dichiarando che avrebbe ‘’incoraggiato’’ Putin ad attaccare i Paesi che non adempiono dell’Alleanza atlantica che spendono meno del 2% del loro Pil per la difesa.

Una provocazione che si fonda su un dato reale, ossia la raccomandazione (non vincolante) portata avanti da anni dalla Nato, di raggiungere quella soglia di spesa minima per la ricerca, lo sviluppo o l’aggiornamento di truppe ed equipaggiamenti, attualmente non rispettato da 20 nazioni tra le 31 aderenti (Italia compresa).

Tuttavia, i Paesi europei sembrano aver imboccato un percorso piuttosto vicino a quella percentuale, dato che proprio quest’anno la Germania potrebbe raggiungere il 2% di spesa militare, mentre il nostro Paese - che ha mobilitato l’1,46% del Pil nel 2023 - potrebbe arrivarci entro i prossimi 4 anni. Se guardiamo gli acquisti complessivi a livello europeo, nel solo 2023 la spesa è arrivata fino a 345 miliardi di dollari per la difesa, decisamente più dei 230 miliardi registrati dieci anni prima.

D’altronde, i venti di guerra che soffiano nell’occidente che fino a qualche tempo fa ha vissuto senza conflitti, tanto da meritarsi il Nobel per la Pace nel 2012, non può che avere come conseguenza una corsa affrettata agli armamenti dettata dalla paura, che fa lievitare i guadagni dell’industria delle armi.

Non a caso, le prime sette aziende del settore - tra cui Bae Systems, Leonardo e Saab - hanno recentemente raggiunto ordini per oltre 300 miliardi di dollari.

Un livello record che si pone all’apice di una tendenza già attiva da anni, dato che tra il 2020 e il 2022 i principali 15 gruppi industriali della difesa mondiali hanno aumentato il loro portafoglio ordini complessivo di 76,4 miliardi di dollari, arrivando a sfiorare i 777,6 miliardi.

All’indomani dell’annuncio del governo tedesco del 2022 di arrivare a 100 miliardi di spesa militare in risposta all’invasione russa, l’azienda tedesca Rheinmetall venne ferocemente contestata come leader di un’industria pessima e dannosa.

«Ora è un mondo completamente diverso», commenta l’amministratore delegato Armin Papperger, la cui azienda si trova ora in testa alla classifica dei produttori che nell’ultimo periodo hanno tratto maggiori vantaggi su più fronti.

Maggiori richieste di armi equivalgono a un incremento dei profitti e quindi del valore della società in Borsa, dove le azioni sono salite da salite da 83,06 euro del 2 gennaio 2022 agli attuali 411 euro. Un incremento record del 494% che la spedisce direttamente nel Dax, fra i principali indici azionari al mondo, composto dai 30 titoli tedeschi a maggiore capitalizzazione e liquidità. Una promozione che regala gioia a chi possiede Rheinmetall nel proprio portafogli azionario, oltre che attirare nuovi investitori e accelerare ulteriormente le prestazioni del titolo.

Di poco sotto - con un aumento di valore del 217% da inizio 2022 - c’è Leonardo, società italiana specializzata nella difesa, partecipata per poco più del 30% dal Ministero dell’economia e delle finanze.

Dopo un fatturato di 14,7 miliardi nel 2022, e un utile netto che sfiora il miliardo, il 2023 si apre con ordini per oltre 17 miliardi e un aumento dei ricavi del 5%. Aumenta perfino l’offerta di prodotti da immettere nel mercato, con nuovi accordi commerciali e alleanze strategiche con Knds, holding olandese attiva nella difesa con un portafoglio ordini di circa 11 miliardi di euro, per la produzione di nuovi carri armati e il rinnovamento delle Forze terrestri italiane, con l’obiettivo congiunto di accrescere ulteriormente le capacità di produzione e sviluppo in Italia e nuove collaborazioni future.

Sul tavolo anche una collaborazione, ancora in fase di trattativa, proprio con il colosso tedesco Rheinmetall per rilanciare la ricostruzione della flotta cingolata con mezzi leggeri e pesanti.

Tra gli altri pesi massimi del settore degli armamenti, spicca la svedese Saab, nota per la produzione dell’aereo da caccia Gripen, ormai diventato fiore all’occhiello del suo catalogo.

Saab si posiziona seconda per incremento di valore in borsa, incassando un +339% dall’inizio del 2022 al 26 febbraio. Ottimi risultati anche per Mbda (di cui Leonardo possiede il 25%), che ha raggiunto ordini per missili e attrezzature di difesa aerea per 9 miliardi di euro nel 2022, e circa 4,5 miliardi nell’ultimo anno solamente nel giro d’affari italiano, insieme a contratti firmati con Polonia, Germania e Francia. Segno che le tecniche di combattimento si basano sempre di più su azioni aeree, molto più difficili da prevedere e con una potenza distruttiva accentuata. A beneficio anche delle aziende produttrici di componentistica essenziale, come la bavarese Renk, attiva nella fornitura di ingranaggi e trasmissioni per carri armati e fregate, che ritorna in borsa con circa 1,8 miliardi di valore.

La torta degli armamenti è abbastanza grande da lasciare una fetta anche alle industrie più piccole. Come Tekever, specializzata in produzione di droni, che proprio nella guerra in Ucraina ha trovato una base perfetta per mostrare al mercato i suoi sistemi aerei senza pilota, sia civili che militari. Oppure l’estone Milrem Robotics, start up attiva nella produzione di veicoli autonomi utilizzati per trasportare vittime e liberare i percorsi per i soldati sul campo di battaglia, che recentemente ha sottoscritto un contratto per la fornitura di 20 veicoli robotici da combattimento cingolati e 40 veicoli terrestri senza pilota con il Ministero della Difesa degli Emirati Arabi Uniti.

La corsa agli armamenti è dominata dalla fretta di riempire gli arsenali di armi e munizioni, possibilmente le più tecnologicamente avanzate. Un tentativo di farsi trovare pronti a ogni evenienza che in Italia rischia di sfuggire sempre di più al controllo pubblico grazie a un disegno di legge, recentemente approvato in Senato, che mira proprio a cancellare i meccanismi di trasparenza e controllo parlamentare sul commercio e le esportazioni di armi e sulle banche che finanziano tali operazioni.

Immediate le proteste dell’opposizione sulle modifiche introdotte all’attuale legge (185/1990) che regolamenta l’import-export di armi. Le opposizioni contestano il rischio di maggiore opacità specialmente sul versante bancario, in cui gli obblighi di comunicazione delle transazioni saranno in capo a banche e intermediari finanziari.

Banca Etica invita tutta la società civile a mobilitarsi contro un provvedimento approvato frettolosamente ed epurato di tutti gli emendamenti che tentavano di contenere gli effetti più nefasti del disegno di legge.

La maggioranza difende la scelta parlando di una semplificazione delle operazioni per lo scambio di materiali d’armamento a tutto vantaggio delle imprese italiane del settore e non rileva alcun problema di trasparenza, dato che la presidente del Consiglio sarà comunque tenuta a inviare ogni anno alle Camere una relazione dettagliata sull’import-export di armi.

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