Futuro

Cercasi lungimiranza urgentemente

Le grandi trasformazioni richiedono grandi progetti e grandissimi investimenti. Hanno successo se sono sostenuti da grandi narrazioni
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15 febbraio 2024 Aggiornato alle 06:30

Sam Altman, co-fondatore di OpenAI, sta cercando tra 5.000 e 7.000 miliardi di dollari per riconfigurare l’industria dei semiconduttori e renderla adatta all’epoca dell’intelligenza artificiale, riporta Wall Street Journal.

Sono molti soldi. Soltanto la differenza tra la richiesta massima e la minima è paragonabile al Pil dell’Italia. Altman cerca una quantità di denaro superiore al Pil della Francia e del Regno Unito combinati. Insomma: si dice che a Silicon Valley pensano in grande. Ebbene: chi lo dice ha ora un nuovo esempio da proporre.

Intanto, in Germania, il governo sta soffrendo le pene dell’inferno per trovare i soldi con i quali finanziare il futuro del suo ambizioso piano di riarmo: ha deciso di investire 100 miliardi di euro a debito in tre anni, ma non sa come trovare i 30 miliardi l’anno che saranno necessari per proseguire il programma quando i 100 miliardi saranno finiti.

Vale la pena di ricordare, però, che quando si parla di grandi progetti ce n’è uno che è il più grande di tutti, almeno potenzialmente. Un paio d’anni fa, uno studio di McKinsey aveva mostrato che sommando tutti gli investimenti dei governi, delle imprese e delle famiglie del mondo per la transizione ecologica serviranno 3,5 mila miliardi di dollari ogni anno fino al 2050.

Questo è il problema delle grandi trasformazioni. Costano parecchio. Quando avvengono spontaneamente, di fatto, si autofinanziano. Se si pensano invece come progetti da realizzare in modo coordinato appaiono in qualche modo troppo grandi per non fallire.

Ma certe cose, per quanto necessarie, non avvengono spontaneamente. Non sarà il mercato a spingere il mondo sulla strada della ristrutturazione dei modelli produttivi che servono a risolvere l’emergenza climatica, per esempio. E non sarà la semplice logica della tecnologia a spingere la soluzione proposta da Altman.

Che cosa fa la differenza tra i grandi progetti che riescono e quelli che falliscono? La leadership? La motivazione di tutta una società? La chiara differenza tra i costi e i guadagni? L’immediatezza della minaccia da superare? La chiarezza del vantaggio da ottenere? La qualità e precisione del progetto? Un po’ di tutto questo?

Domande legittime quanto, forse, ingenue. Ma che per certi progetti devono trovare qualche risposta pratica.

Si può essere freddamente interessati al successo di Sam Altman e dei suoi microprocessori per l’intelligenza artificiale. In fondo, se deve trovare 5.000 miliardi in finanziamenti gli basterà trovare un modello di business che dimostri la possibilità di generare altrettanti miliardi di profitti. Non è altro che un piano ambizioso. Qui c’è una leadership chiara, una motivazione popolare blanda, una probabile chiarezza nei vantaggi economici. Si vedrà.

Invece, la questione della militarizzazione della Germania è molto più emotivamente coinvolgente. La minaccia che la spinge è la possibile riduzione delle spese militari americane per la difesa dell’Europa a fronte a una rinnovata conflittualità con la Russia. La leadership non è forte, la motivazione popolare è meno che unanime, i timori però sono immediati e i vantaggi economici degli investimenti in tecnologie militari, mentre l’industria tedesca segna il passo, possono essere significativi. Si vedrà.

Quello che invece davvero conta, la transizione ecologica, è notevolmente più costosa di qualsiasi altro progetto, se ha ragione McKinsey. La leadership è divisa, la popolazione è preoccupata, i progetti sono vaghi, la minaccia è sempre più immediata ma non è ancora percepita come tale, i vantaggi appaiono incerti e non equamente distribuiti.

Eppure un fallimento di questo progetto è il maggiore rischio che l’umanità abbia corso da quando ha inventato la minaccia della guerra nucleare.

La difficoltà principale è quella di fare un racconto concreto della transizione ecologica, che avvicini al presente gli obiettivi da raggiungere e, di sicuro, non parlando solo del 2050.

Del resto, l’Agenda per il 2030, lanciata con 15 anni di anticipo, non ha catalizzato le energie di tutta l’umanità, tanto che il segretario generale dell’Onu deve ammettere che la sua realizzazione è molto in ritardo.

La ragione in queste questioni non basta: grazie alle proiezioni prodotte dall’Mit, pubblicate nel rapporto sui limiti alla crescita, dal 1972 conosciamo i nodi che sono arrivati al pettine oggi.

La lungimiranza non è la principale virtù degli umani. Anzi, per meglio dire: gli umani sono bravi a immaginare il futuro anche lontano. Ma poi agiscono, il più delle volte, in una dimensione di massima immediatezza.

Ebbene, è chiaro che a questo occorre porre rimedio. Ripensando, forse, la narrativa che si basa solo su obiettivi lontani. È lo sforzo di immaginazione più importante di questo complesso presente.

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