(Laura Arias )
Ambiente

Legambiente: i fitofarmaci calano di quasi il 5% negli alimenti, ma preoccupa il “multiresiduo”

Il report Stop pesticidi nel piatto ha analizzato più di 6.000 campioni di origine vegetale e animale e ha registrato nel 23% dei casi la presenza di residui provenienti da diversi agrofarmaci (il cosiddetto “cocktail di fitofarmaci”)
di Emma Cabascia

Cosa sono i fitofarmaci?

I fitofarmaci, noti anche come pesticidi, agrofarmaci o prodotti fitosanitari, sono sostanze chimiche appartenenti a una categoria di composti inorganici, organici naturali e di sintesi utilizzati comunemente in agricoltura per curare o prevenire infezioni sui vegetali causate da organismi nocivi.

Esistono diversi tipi di fitofarmaci. Normalmente vengono categorizzati in base all’organismo bersaglio (target, direbbero gli addetti ai lavori) e al loro modo di azione. Tra i principali troviamo insetticidi, erbicidi, fungicidi e regolatori di crescita delle piante. Alcuni di loro aiutano a difendere le colture da parassiti (insetti e acari), altri a contrastare agenti patogeni (batteri, virus e funghi); altri ancora sono impiegati per controllare la crescita di piante indesiderate. Ci sono poi degli agrofarmaci, che contribuiscono al miglioramento degli standard qualitativi dei prodotti agricoli.

In altre parole, il compito dei fitofarmaci è quello di proteggere le coltivazioni da insetti, malattie, e piante infestanti. Un compito nobile e necessario, e a ben vedere cruciale nell’assicurare la resa delle colture e garantire la sicurezza alimentare.

Detto ciò, non sono poche le preoccupazioni che riguardano la loro efficacia, nonché il loro impatto sull’ambiente e sulle specie viventi. Come si legge dal sito del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, “benché l’uso dei prodotti fitosanitari risulti in molti casi indispensabile per proteggere i prodotti vegetali destinati all’alimentazione dell’uomo (e degli animali), le sostanze in essi contenute possono presentare effetti dannosi per l’ambiente e la salute umana”.

Le sostanze attive presenti nei prodotti fitosanitari possono infatti arrecare danni anche ad altri organismi presenti nell’ecosistema di applicazione, noti come “organismi non bersaglio”. Basti pensare che la quantità di principio attivo che colpisce il bersaglio è normalmente inferiore al 5%, mentre il resto si disperde nell’ambiente, contaminando acqua, aria e suolo, portando per esempio all’inquinamento delle falde acquifere, a livelli ridotti di fertilità del suolo, nonché alla diminuzione degli insetti impollinatori.

Neanche gli esseri umani sono esenti da rischi. Secondo alcuni studi scientifici, oggetto di un dibattito tuttora molto acceso all’interno della comunità scientifica, l’esposizione (diretta o indiretta) ad alcuni di questi agrofarmaci può aumentare la probabilità di formazione di carcinomi, leucemie e altri tumori del sangue, cancro alla prostata, tumori dell’infanzia, nonché l’insorgere di una serie di patologie non tumorali come problemi neurologici e cognitivi, danni al sistema immunitario e sviluppo di allergie, problemi alla tiroide, infertilità.

Il dossier di Legambiente, Stop Pesticidi nel Piatto

A partire da queste premesse, il dossier intitolato Stop pesticidi nel piatto, frutto della collaborazione tra Legambiente e Alce Nero, si propone di fornire un quadro esaustivo sulla diffusione dei fitofarmaci nell’ambito agricolo, di indagare il loro impatto sulla catena alimentare e più precisamente la loro presenza residua negli alimenti che finiscono quotidianamente sulle nostre tavole.

Nella piena consapevolezza della trasformazione profonda che ha interessato il sistema agroalimentare negli ultimi 50 anni (un sistema cioè sempre più orientato alla massimizzazione della produzione e all’adozione di pratiche di tipo intensivo che contraddicono gli obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale, sfruttando risorse naturali e manodopera al solo fine di incrementare i profitti) le prime pagine di questo dossier non possono che ricordare la presenza di un ulteriore fattore di stress da aggiungere a questo quadro già non roseo: il cambiamento climatico.

L’intensificazione degli eventi climatici estremi dovuti al riscaldamento globale e dunque, per gran parte, dalle attività antropiche, sta mettendo a dura prova la sopravvivenza del settore agricolo in alcune regioni del mondo. Eppure, è proprio questo settore a essere tra i principali responsabili dell’aumento delle temperature, rappresentando circa il 20% delle emissioni globali totali.

Vittima e carnefice al contempo, il mondo agroalimentare non può che essere un osservato speciale nel percorso che l’Italia e l’Europa stanno compiendo verso la transizione ecologica. A questo proposito, come ricordato giustamente dal dossier, le strategie europee From farm to fork e Biodiversity 2030 hanno messo nero su bianco quale sia la strada da intraprendere e quali gli obiettivi da raggiungere per avvicinarsi a un modello più sostenibile di agrobusiness. Su tutti, la riduzione del 50% dei pesticidi, del 20% dei fertilizzanti e del 50% degli antibiotici negli allevamenti. A questi si aggiunge l’obiettivo del raggiungimento del 25% della produzione biologica a livello europeo entro il 2030.

Ma torniamo ai fitofarmaci. Per quel che riguarda il mercato dei prodotti fitosanitari, l’ultimo rapporto della European Environment Agency ha rivelato che sebbene le vendite di agrofarmaci in Europa nel periodo 2011-2020 non abbiano registrato particolari fluttuazioni, le cose vanno (leggermente) meglio in Italia.

Come evidenziato da Ispra, nello stesso periodo di rilevazione, in Italia abbiamo assistito infatti a una diminuzione del 6,5%, e di un ulteriore calo del 4,22% rispetto al 2020.

Questi dati non bastano per rassicurare. I principi attivi utilizzati sono ancora molti. In Europa, parliamo di 450 sostanze autorizzate: un numero che nell’ultimo decennio è rimasto pressoché stabile. Al 2021, i pesticidi più distribuiti sono stati fungicidi (47,06%), seguiti poi da insetticidi (21,15%) e erbicidi (17,73%).

I risultati dell’indagine

Come anticipato, l’obiettivo dell’indagine effettuata da Legambiente e Alce Nero è far luce sulla presenza di residui di prodotti fitosanitari negli alimenti. Al centro dello studio c’è proprio la presentazione dei risultati di un’analisi condotta nel 2022 su 6.085 campioni di alimenti di origine vegetale e animale, provenienti sia da agricoltura convenzionale che biologica, e provenienti da 15 Regioni italiane.

Di seguito, i dati più interessanti e rilevanti che sono emersi dalla lettura del dossier.

1. Il gap tra agricoltura convenzionale e biologica

La prima notizia, che non sorprende, è una differenza sostanziale tra i campioni di generi alimentari biologici e non biologici. Se nei prodotti biologici sono stati rintracciati residui soltanto nell’1,38% dei campioni, una contaminazione avvenuta probabilmente a causa del cosiddetto “effetto deriva”, cioè dalla presenza limitrofa di aree coltivate con pratiche proprie dell’agricoltura convenzionale, i campioni provenienti da quest’ultimo metodo di coltivazione che hanno registrato tracce di uno o più residui sono il 39,21%. Tra questi, la percentuale di monoresiduo è pari al 15,67%, contro il 23,54% di multiresiduo.

Credit: report “Stop pesticidi nel piatto”, Legambiente
Credit: report “Stop pesticidi nel piatto”, Legambiente

2. La frutta è la categoria di alimenti più colpita

Ma quali sono gli alimenti con la più alta percentuale di residui? Medaglia d’oro alla categoria della frutta, dove la presenza di residui è stata particolarmente significativa, interessando il 67,96% dei campioni analizzati, sebbene si sia registrato un leggero calo rispetto all’anno precedente. Tra le varie tipologie di frutta, le pere hanno mostrato la più alta incidenza di fitofarmaci, con l’84,97% dei campioni interessati, seguite da pesche (83%) e mele (80,67%). La frutta esotica, tra cui banane, kiwi e mango, ha evidenziato una percentuale di irregolarità del 7,41%, nettamente superiore alle altre tipologie di alimenti.

Va decisamente meglio per quanto riguarda la verdura: il 68,55% dei campioni analizzati non contiene residui, e il tasso di irregolarità alimentare è molto basso, pari al 1,47%. Tra i vegetali, peperoni (53,85%), insalate e pomodori (entrambi al 53,14%) sono stati i più colpiti dalla presenza di residui, seguiti dagli ortaggi a foglia (38,12%).

Abbastanza preoccupante la situazione degli alimenti trasformati. Sebbene sia stata osservata una bassa percentuale di irregolarità (inferiore all’1%), la presenza di residui si è attestata al 36,22%, con la più alta incidenza riscontrata nei cereali integrali trasformati, come farine e pasta integrale (71,21%), seguiti dal vino (50,85%).

A chiudere il quadro, gli alimenti di origine animale, categoria dove la quasi totalità dei 921 campioni analizzati (88,17%) è risultata priva di residui. Doveroso reminder ai consumatori di carne, uova, latte e derivati: bisogna ricordare che qui si parla di pesticidi. I numeri sarebbero molto diversi se riferiti agli antibiotici. Proprio Legambiente in questo dossier ci ricorda che in Italia l’antibiotico-resistenza è responsabile di circa 11.000 morti all’anno e che il nostro Paese è tuttora uno dei maggiori utilizzatori di antibiotici per uso veterinario.

3. La minaccia del multiresiduo

Nonostante la percentuale dei campioni provenienti da agricoltura convenzionale in cui sono state rintracciate tracce di pesticidi nei limiti di legge sia in leggera diminuzione (39,21% rispetto al 44,1% del 2021) e sebbene anche quella dei campioni irregolari sia in calo (1,62%), desta molta preoccupazione il numero di campioni in cui è stata registrata la presenza di diversi residui (23,54%).

Ma come mai l’alta incidenza del multiresiduo negli alimenti costituisce un campanello d’allarme? Semplice, maggiore è la concentrazione di residui provenienti da diversi agrofarmaci (gli addetti ai lavori hanno adottato la formula “cocktail di fitofarmaci”) maggiori sono i rischi per la salute, dovuti al verificarsi di possibili effetti additivi e sinergici sull’organismo umano.

Alcuni dati molto esemplificativi provenienti dai campioni analizzati vedono ancora una volta la frutta come protagonista. In 3 campioni di uva passa sono stati rintracciati 17 residui, in un campione di pesca 14 residui, in un campione di fragola 12 residui. La situazione è addirittura peggiore se si osservano i dati che l’Efsa ha elaborato sui prodotti importati, da cui è emerso che in un peperone proveniente dalla Cambogia sono state individuate tracce di ben 28 residui.

Le proposte di Legambiente

Per prima cosa, Legambiente ribadisce la necessità di ridurre le emissioni per affrontare l’impatto ambientale spropositato che il modello di produzione alimentare sta avendo sugli ecosistemi. Come testimoniano i dati Ispra, le pratiche agricole in Italia hanno contribuito alle emissioni di gas serra per l’8,6% dal 1990 al 2020. Per fare ciò, occorre scoraggiare la produzione intensiva, valorizzando e promuovendo le piccole aziende che già adottano comportamenti più virtuosi.

Dal punto di vista normativo, è forte la preoccupazione per la mancata approvazione del Sur (Sustainable use of plant protection products), il dispositivo proposto dalla Commissione europea al fine di limitare l’utilizzo di prodotti fitosanitari. Secondo il Sur, in Italia gli obiettivi di riduzione dei pesticidi entro il 2030 dovrebbero essere del 62%. Se approvato, questo regolamento porterebbe anche al divieto di impiego di agrofarmaci nelle aree naturali protette, nei siti riconosciuti da Natura 2000 e nelle aree abitate da impollinatori a rischio estinzione.

A livello nazionale, secondo Legambiente è di assoluta urgenza l’adozione del Pan (Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari), la cui realizzazione è disciplinata dallo stesso Sur, e che non è più stato aggiornato dal 2014.

Per contrastare il problema del multiresiduo, uno strumento legislativo nazionale di regolamentazione appare come l’unica soluzione per l’implementazione di misure efficaci.

Necessario anche fare passi avanti in merito all’approvazione dei decreti attuativi relativi alla legge sull’agricoltura biologica. L’Italia è pioniera in Europa in questo campo, e alla luce dei dati emersi dai campioni analizzati, è chiaro come investire sul biologico sia fondamentale per ottenere riduzioni drastiche nell’utilizzo di pesticidi. A questo proposito, secondo il rapporto Study on the environmental impacts of achieving 25% organic land by 2030 citato nel dossier, la conversione al biologico determinerebbe la riduzione del 90-95% dell’uso dei pesticidi.

Agroecologia: la strada maestra per la transizione ecologica

Qual è quindi, la soluzione più efficace per abbattere la dipendenza dai pesticidi nel settore agroalimentare senza compromettere i bisogni nutrizionali di una popolazione in continua crescita, in un mondo sempre più vulnerabile ai cambiamenti climatici?

Se è vero che la ricetta perfetta non esiste, la risposta di Legambiente è l’agroecologia: un approccio integrato all’agricoltura che combini pratiche più sostenibili vicine all’agricoltura biologica ad altre più tradizionali puntando su ricerca, sperimentazione e innovazione.

Da un lato, per migliorare la resilienza delle colture senza compromettere la produzione è possibile attingere dall’agricoltura biologica quanto alla rotazione delle colture e all’uso di concimi organici. Dall’altro, l’impiego di tecnologie moderne, come l’agricoltura di precisione e l’uso di sensori, possono aiutare gli agricoltori a ottimizzare l’impiego di acqua, fertilizzanti e molecole chimiche di sintesi, migliorando così l’efficienza dei raccolti riducendo al contempo gli input negativi e l’impronta ecologica.

Essendo capace di mitigare gli impatti dei cambiamenti climatici, di migliorare la fertilità del suolo e di rendere le produzioni più resilienti agli stress climatici e alle infezioni, l’agroecologia rappresenta l’unica soluzione in grado di tenere assieme i tre pilastri della sostenibilità: ambientale, sociale ed economica.

È questa la strada maestra per liberare il settore agroalimentare dalla dipendenza chimica e per riconciliare l’attività agricola con i processi naturali, assicurando la produzione di alimenti di qualità che siano salubri ed equi.

Leggi anche