Ambiente

Lombardia: acque inquinate dal glifosato

L’Università di Milano e Irsa/Cnr hanno individuato livelli oltre la norma: nei campioni raccolti nel reticolo idrico secondario si è raggiunta una concentrazione di alcune centinaia di microgrammi/L
Credit: Amy Humphries
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24 maggio 2023 Aggiornato alle 10:00

Le acque della Lombardia sono inquinate dal glifosato, una molecola contenuta in un pesticida, con effetti preoccupanti sulla biodiversità e sulla salute umana. È questo il risultato delle analisi condotte dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Milano e da Irsa/Cnr, con il supporto di Fondazione Cariplo. Il report è stato presentato da Legambiente Lombardia durante l’evento Il veleno che non ti aspetti: la concentrazione di glifosate nelle acque lombarde.

È necessario che «l’Unione Europea decida di non rinnovare la licenza per l’impiego di questa sostanza alla sua scadenza, alla fine del 2023», hanno spiegato Damiano Di Simine, coordinatore scientifico di Legambiente Lombardia, e Federica Luoni, referente dell’associazione Lipu nella coalizione Cambiamo Agricoltura. Altrimenti sarà impossibile raggiungere gli obiettivi del Green Deal, come quello della strategia Farm to fork che prevede di dimezzare entro il 2030 l’utilizzo dei fitofarmaci.

Il livello di sicurezza per la molecola di glifosato (e del suo metabolita Ampa) è pari a 0,1 microgrammo/L. Nei campioni raccolti dai ricercatori nel reticolo idrico secondario della Regione (che comprende canali, rogge e fontanili solitamente trascurati nelle analisi di routine) si è raggiunta una concentrazione di alcune centinaia di microgrammi/L, con superamento del valore soglia di migliaia di volte. «Si tratta di valori che determinano inevitabilmente effetti tossici sulle comunità viventi nei corpi idrici, come abbiamo potuto verificare con prove effettuate sia su piante acquatiche che sulla microfauna planctonica», ha affermato, durante la presentazione dello studio, Fabrizio Stefani, di Irsa/Cnr.

Solubile in acqua e attiva, in modo non selettivo, verso un ampio spettro di specie di vegetali, funghi e microrganismi, il glifosato, impiegato in diserbanti e pesticidi, è tra le maggiori cause di perdita di biodiversità. I suoi effetti inoltre si riflettono a cascata su tutti gli elementi dei nostri ecosistemi: dai pesci, agli insetti impollinatori, come le api, alle specie vegetali spontanee fino agli uccelli. Il declino di quasi il 60% dei volatili negli ambienti rurali europei è dovuto anche a questa sostanza.

Per gli esseri umani, la tossicità acuta è relativamente bassa. L’esposizione prolungata, anche in contesti non agricoli, e la sua vasta diffusione desta però preoccupazione: in alte concentrazioni può essere cancerogeno, dannoso cellule, embrioni e per il sistema ormonale. In ottica di Global health (salute globale), il suo utilizzo favorisce anche la diffusione di batteri patogeni resistenti anche ai comuni antibiotici.

Nonostante questo, è presente in centinaia di prodotti fitosanitari, utilizzati soprattutto nelle aziende del Sud America che coltivano ed esportano verso l’Unione europea la soia e altri mangimi per il bestiame. Sono quasi 1 milione le tonnellate di questo principio attivo distribuite su centinaia di milioni di ettari coltivati, in tutto il mondo. In Italia è il pesticida più usato ed è contenuto nel 52% degli erbicidi.

L’allarme riguardo la sua pervasività era già stato lanciato dal report Ispra dedicato alle acque superficiali: era stato rintracciato, in quantità superiori ai limiti di legge, in oltre la metà dei campioni. L’analisi della Facoltà di Agraria dell’Università di Milano e di Irsa/Cnr ha però aggiunto un tassello alla conoscenza di questa molecola e al suo impatto sull’agricoltura: si è estesa anche al reticolo secondario e terziario, che comprende gran parte della pianura irrigua, dalla provincia di Novara a quelle di Cremona Pavia, Milano, Lodi, e Bergamo.

«Il reticolo irriguo, specie nei primi mesi della primavera, riceve acque che drenano campi che hanno subito trattamenti di diserbo prima delle semine. Le piogge primaverili e le prime irrigazioni a scorrimento possono così trasportare grandi quantità di principio attivo, determinando possibili picchi di concentrazione nella rete scolante. I dati hanno fornito le evidenze attese, facendo registrare valori di inquinamento da glifosato e da Ampa molto elevati e preoccupanti anche in quanto si tratta delle stesse acque che vengono impiegate per l’irrigazione dei campi» ha raccontato Stefano Bocchi, docente di agronomia dell’Università di Milano.

«Un esempio emblematico dei problemi che questo inquinamento genera è stato riscontrato nelle acque in entrata in alcune aziende risicole della provincia di Pavia – ha aggiunto Fabrizio Stefani - Pur disponendo della certificazione biologica, avevano dovuto rinunciare a commercializzare il loro prodotto, a causa dei livelli anomali di residui di pesticidi riscontrati nella cariosside, la cui origine era da ricondurre nelle acque impiegate per l’irrigazione».

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