Diritti

Sierra Leone: l’83% delle donne ha subito la mutilazione genitale femminile

La Mgf è praticata in almeno 30 Paesi dell’Africa e del Medio Oriente, perché considerata un rituale di iniziazione culturale e religioso. Tuttavia, la polizia sierraleonese ha aperto un’indagine sulla morte di 3 minorenni sottoposte alla procedura
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
5 febbraio 2024 Aggiornato alle 13:00

Avevano 12, 13 e 17 anni le minorenni morte per aver subito mutilazioni genitali in Sierra Leone. Secondo i resoconti locali, la polizia locale sta indagando sul caso, avvenuto a gennaio, nella zona di Tonko Limbia, nel nord del Paese. Nel 2024, a poche ore dalla Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili, promossa dalle Nazioni Unite il 6 febbraio, il fenomeno riguarda ancora 200 milioni ragazze e donne in tutto il mondo.

L’attivista per i diritti delle donne della Sierra Leone Rugiatu Turay, convinta sostenitrice della lotta alla mutilazione genitale femminile - m, ha scritto su X che i decessi sarebbero avvenuti tra il 9 e l’11 gennaio e che “nessuna delle Ong o delle agenzie delle Nazioni Unite ha detto una parola o è venuta a trovarci. È ora di spostare il potere e di finanziare direttamente le organizzazioni locali che si assumono il rischio di cambiare le cose nelle loro comunità”, ha aggiunto la donna, fondatrice dell’Amazonian Initiative Movement, contro le Mgf nell’Africa occidentale.

In Sierra Leone la mutilazione genitale femminile è legale: fa parte di un rituale di iniziazione culturale e religioso che segna l’ingresso nella vita adulta per le ragazze, e secondo la tradizione le prepara al matrimonio. A eseguirla (a pagamento) sono le soweis, donne che fanno parte di Bondo, una società segreta completamente al femminile dell’Africa occidentale. “È tempo che il governo sospenda tutte le iniziative di Bondo e indaghi”, ha scritto su X Turay. All’età di 11 anni subì una mutilazione genitale da parte di sua zia: dopo la dolorosa procedura, Turay perse sangue per due giorni. La stessa pratica toccò a sua cugina, che però morì.

Il Paese ha uno dei tassi di diffusione delle mutilazioni genitali femminili più alti in Africa: secondo il Demographic Health Survey 2019 condotto dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa), l’83% delle donne e delle ragazze di età compresa tra i 15 e i 49 anni hanno subito la procedura. Si tratta di una percentuale in calo rispetto ai dati del 2013 (90%), che però riguarda ancora 1 ragazza su 3 di età compresa tra 15 e 19 anni in 30 paesi dell’Africa e del Medio Oriente, ma è praticata anche in alcuni Paesi dell’Asia e dell’America Latina. Nel 2024 “quasi 4,4 milioni di ragazze saranno a rischio di questa pratica dannosa”, spiega l’Onu. Significa più di 12.000 casi ogni giorno.

La rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni, considerata una violazione dei diritti umani di donne e bambine, può portare a un alto rischio di sanguinamento prolungato, infezioni (compreso l’HIV), complicazioni durante il parto, infertilità e morte. Le sopravvissute possono avere conseguenze a lungo termine non solo sulla loro salute sessuale e riproduttiva, ma anche su quella mentale.

Le Nazioni Unite si sono impegnate a eliminare completamente la pratica entro il 2030, come parte dell’obiettivo 5, relativo al raggiungimento dell’uguaglianza di genere e dell’emancipazione di tutte le donne e le ragazze, dei Sustainable Development Goals, la strategia globale “per ottenere un futuro migliore e più sostenibile per tutti”. Già nel 2012, l’Onu ha approvato una risoluzione per vietarle. Nonostante le ragazze, oggi, abbiano un terzo di probabilità in meno di essere sottoposte alle mutilazioni genitali femminili rispetto a 30 anni fa, i progressi dovrebbero essere almeno 10 volte più rapidi per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

Aminata Koroma, la segretaria esecutiva dell’organizzazione contro le Mgf in Sierra Leone Forum Against Harmful Practices (Fahp), ha dichiarato che i genitori delle tre ragazze morte in Sierra Leone a gennaio e coloro che hanno effettuato la procedura sono sotto la custodia della polizia. La sua associazione sta cercando di ottenere una legge che criminalizzi le Mgf e sta lavorando per promuovere cerimonie alternative che rinuncino a questa pratica: l’anno scorso ne ha sperimentate alcune in tre distretti e spera di estendere la sperimentazione ad altri due quest’anno.

Le società di Bondo, per quanto responsabili della procedura, hanno anche «molti aspetti positivi», secondo Koroma: «Insegnano alle ragazze le proprietà medicinali delle piante e tramandano la storia della nostra cultura. Il nostro slogan è: “Dite sì a Bondo, no al taglio”», ha dichiarato al Guardian. Le sowies, tuttavia, vedono nelle mutilazioni genitali femminili un’importante fonte di reddito: «Le famiglie possono spendere tra i 300 e i 400 dollari per l’intera cerimonia, che dura tre settimane. Dobbiamo essere in grado di sostituirla con qualcos’altro».

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