Diritti

Quanto possiamo odiare?

Chi è il detentore della nostra libertà di parola nei maggiori spazi pubblici del Pianeta? Sono algoritmi addestrati da umani, i quali a loro volta hanno pregiudizi e ricevono indicazioni da comitati etici e vertici d’impresa. A loro volta fallaci
Credit: Pete Pedroza
Tempo di lettura 3 min lettura
14 marzo 2022 Aggiornato alle 08:00

Spesso sgangherato, disinformato, urlato e un po’ cialtrone, il dibattito sui fatti di attualità che avviene sui social network è tra i pochi spazi di discussione pubblica rimasti. Anzi, è quello più importante: quelli sono i luoghi nei quali si forma la nostra opinione, nei quali troviamo conferme a opinioni che abbiamo già o - assai più di rado - cambiamo idea.

La notizia che le linee guida di Facebook e Instagram sono state modificate, consentendo post normalmente proibiti che inneggino alla morte o auspichino l’uccisione di militari russi, di Vladimir Putin o del dittatore bielorusso Lukashenko, meriterebbe una discussione più ampia. Perché se la centralità di queste piattaforme è indiscutibile, inizia a essere difficile pensare che un’azienda collocata in un luogo qualsiasi degli Stati Uniti, pur con le migliori intenzioni, debba decidere cosa si possa o non possa scrivere. Perché qua siam tutti d’accordo sul fatto che Putin è un autocrate e che i soldati russi stanno invadendo un Paese democratico e sovrano, ma sappiamo anche proiettare in un ipotetico futuro decisioni di questo genere.

Giochiamo di paradosso: il comitato etico o i dirigenti dell’azienda potrebbero decidere che è lecito augurarsi la morte violenta di Sergio Mattarella o che la lapidazione di un’adultera può essere raccontata come gioioso rituale di qualche tribù o comunità ultrareligiosa. Chi è il detentore della nostra libertà di parola e di espressione nei maggiori spazi pubblici del Pianeta? Spesso sono gli algoritmi, i quali sono addestrati da umani, i quali a loro volta hanno pregiudizi e che ricevono indicazioni da comitati etici e vertici d’impresa i quali sono a loro volta fallaci.

È un nodo difficilissimo da sciogliere, tanto che la politica adotta un atteggiamento ambivalente: da una parte richiede alle piattaforme di intervenire contro le parole d’odio, dall’altro si lamenta che la possibilità di parlare viene limitata; da una parte invoca il suo primato, dall’altro lo lascia nelle mani di chi gestisce i social. E noi qua, in attesa che le ultime linee guida di Menlo Park ci istruiscano su chi si possa insultare e come.

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