Economia

Come lo smart working genera disuguaglianze

L’analisi pubblicata sull’Harvard Business Review rivela che gli impieghi da remoto sono disponibili soprattutto per figure specializzate, istruite e con esperienza. Ma durante la pandemia hanno rappresentato un’opportunità lavorativa per le donne spagnole
Credit: Gülşah Aydoğan 
Tempo di lettura 4 min lettura
11 gennaio 2024 Aggiornato alle 12:00

Dall’inizio della pandemia è aumentato il numero di lavoratori da remoto (gli smart workers). Attorno al tema sono nati animati dibattiti riguardo le conseguenze economiche, culturali, lavorative, sociali e climatiche associate allo smart working.

Lo studio pubblicato sull’Harvard Business Review evidenzia come questa forma di lavoro crei forti disuguaglianze. Analizzando il mercato americano nel 2023, l’analisi sottolinea come le opportunità lavorative a distanza siano rare per le professioni con retribuzione annua sui 30.000 dollari circa (tra il 2% e il 3%); la quota sale al 10% se consideriamo i lavori con compensi sui 60.000 dollari l’anno e si attesa al 30% per gli impieghi retribuiti oltre i 140.000 dollari annui.

L’istruzione è un fattore fortemente discriminante: lo smart working è più frequente tra gli annunci che richiedono dottorati (29%), master (27,1%) o lauree triennali (14,9%). Il tasso si abbassa laddove è richiesto un diploma associato (6,2%) o diploma di scuola superiore (1,9%).

Inoltre, il lavoro agile è offerto soprattutto in posizioni che richiedono maggiore esperienza. Per impieghi che richiedono almeno 7 anni di background lavorativo, più di un quarto degli annunci (22,9%) consente il lavoro a distanza; tra gli annunci che richiedono tra i 7 e i 9 anni di esperienza, il tasso supera il 30% (34,2%, con un aumento del 29,1% dal periodo pre-pandemico). Per le posizioni aperte per chi ha meno di 1 anno di esperienza, solo il 4,2% degli annunci offre lavoro da casa. Infine, circa il 3% degli annunci di lavoro part-time presenta opportunità di smart working, rispetto a oltre il 10% per i lavori a tempo pieno.

L’occupazione da remoto, sin dall’inizio, ha creato forti disuguaglianze all’interno del mercato del lavoro. Ad aprile 2020, l’Office for National Statistics britannico stimava che solo il 46% degli inglesi fosse stato in grado di lavorare da casa; il dato raggiungeva il 57% a Londra, mentre nelle West Midlands si registravano i numeri più bassi (35%).

Nel periodo pre-pandemico, il lavoro agile era una modalità di lavoro prettamente maschile. Come mostra lo studio spagnolo del Servicio de Estudios Ugt, dal 2006 al 2020 si è passati da una maggioranza maschile sia numerica (250.000 uomini in più delle donne, +1,3%) che territoriale (nel 2019 tutte le Comunità Autonome avevano più lavoratori in smart working che lavoratrici), a un incremento del numero di donne occupate da remoto. Tra il 2019 e il 2020, il numero di uomini che sono passati al telelavoro è aumentato dell’86%, contro un incremento femminile del 160%. In altre parole: la pandemia ha fatto raddoppiare il numero delle lavoratrici da remoto rispetto agli uomini.

Già durante il Covid si guardava ai possibili impatti sul gender pay gap. Secondo lo studio della Commissione Lavoro della Camera da Variazioni (società di consulenza specializzata in innovazione organizzativa e smart working) che tiene conto dei dati raccolti su 50.000 interviste a lavoratori e manager di aziende pubbliche e private, “1 lavoratore agile su 2 è donna ed esiste una forte correlazione tra adozione del lavoro agile, employability femminile, trasparenza ed equità retributiva”.

Tuttavia, i tradizionali ruoli di genere hanno influenzato anche lo smart working durante il Covid: secondo la ricerca americana condotta da McKinsey , il 79% degli uomini ha affermato di aver sperimentato “un’efficacia lavorativa positiva” a casa, rispetto solo al 37% delle donne. Tra le cause, la difficoltà di conciliazione tra vita privata e lavorativa, che secondo lo studio è stata la massima priorità per le donne durante il periodo pandemico (tra gli uomini, non rientrava neppure tra le prime 10 priorità).

Come intervenire sulle disuguaglianze? Secondo Harvard Business Review, i manager e i dirigenti aziendali dovrebbero riconoscere il divario tra lavoro da casa e lavoro in ufficio, con la possibilità di rendere maggiormente flessibile l’orario di lavoro per i dipendenti in sede per ridurre il tempo di spostamento.

Inoltre, l’aumento dei salari per i dipendenti in sede viene considerato come un potenziale fattore di compensazione di forti disomogeneità tra i lavoratori, in termini di spostamento e di comodità lavorativa.

Numerosi studi lo confermano: l’impiego da remoto crea ulteriori disuguaglianze economiche e sociali, sebbene possa potenzialmente dare effetti positivi sulla parità di retribuzione tra i generi. Come e se questa modalità di lavoro sarà accessibile equamente a prescindere da istruzione, estrazione sociale, reddito e genere, si scoprirà solo nei prossimi anni.

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