Diritti

Le scienziate vengono citate meno dei colleghi

Secondo uno studio pubblicato su Research Policy che ha analizzato oltre 2 milioni di articoli nel campo delle scienze biologiche, gli elaborati delle autrici ottengono meno menzioni rispetto a quelli dei colleghi
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
3 gennaio 2024 Aggiornato alle 09:00

Uomini e donne non vengono citati allo stesso modo nei paper scientifici: lo rivela un nuovo rapporto pubblicato sul primo numero del 2024 di Research Policy in cui il team di ricercatori e ricercatrici Sifan Zhou, Sen Chai e Richard B. Freeman ha analizzato 2 milioni di articoli nel campo delle scienze della vita (che comprendono le scienze biologiche, agricole, ambientali e sanitarie e sono il settore più popolato da scienziate), rivelando un “forte pregiudizio di genere nelle citazioni”. Gli articoli con autrici principali di genere femminile ottengono meno citazioni di quelli redatti da uomini in altri articoli firmati da uomini.

Si tratta di una tendenza diffusa anche in quei sottocampi della materia che presentano una rappresentazione di genere relativamente equa, ma meno comune tra gli scienziati più giovani, e che gioca ancora un ruolo nel rendere meno visibile la ricerca femminile. Le ragioni, secondo gli autori dello studio, sono due: in parte la specializzazione di genere in alcune aree di ricerca, ma anche la probabilità che i tutor (o responsabili del mentoring), i coautori e i compagni di conferenza di un ricercatore siano accomunati dalla stessa identità di genere.

Nonostante le donne ottengano, oggi, la maggior parte dei dottorati di ricerca in scienze della vita, colmando il divario di genere quantitativo (all’inizio degli anni ’70 erano meno del 20% dei dottorandi neolaureati in scienze della vita, nel 2005 più del 50% e nel 2020 il 55,8%), il numero di citazioni che i loro lavori ricevono non riesce a tenere lo stesso ritmo. Il team di ricercatori voleva capire «come cambia il pregiudizio di genere nel tempo», ha spiegato a Nature una delle autrici, Sen Chai, studiosa di innovazione presso la McGill University di Montreal, in Canada. Per questo il gruppo ha classificato gli articoli sulle scienze della vita pubblicati tra il 2002 e il 2017 in base al genere degli autori principali, definiti come il primo e l’ultimo autore. È stata poi analizzata la frequenza con cui questi articoli sono stati citati in studi successivi.

I documenti realizzati da uomini hanno ricevuto più citazioni nei paper con autori principali maschili e quelli guidati da donne sono stati presi più in considerazione nei documenti redatti da donne. La maggior parte del pregiudizio deriva dal fatto che alcuni sottocampi sono dominati da un solo genere, mentre l’altro fattore dominante è l’“omofilia di genere”, cioè la tendenza delle connessioni professionali degli scienziati a essere orientati verso il proprio genere.

“Poiché l’omofilia di genere nelle citazioni impedisce un flusso di conoscenze indifferente al genere nella maggior parte dei campi - spiega l’analisi - il suo impatto negativo sulla scienza probabilmente include non solo il rallentamento delle carriere delle donne, ma anche la creazione di una diffusione meno efficiente delle conoscenze e la ricombinazione di lavori precedenti in lavori più recenti”.

«Stiamo assistendo a una diminuzione del pregiudizio di genere, ma la cattiva notizia è che l’omofilia di genere è ancora presente - ha spiegato Chai. - Le donne tendono ancora ad affidarsi di più al lavoro delle donne e gli uomini tendono ancora a farlo sul lavoro degli uomini». Se in questi anni, per aumentare l’equità di genere nelle scienze, gli sforzi si sono generalmente concentrati sull’aumento del numero di donne nella materia e sul reclutamento di tutor femminili, gli autori suggeriscono di concentrarsi, tra le altre cose, sulla creazione di reti professionali più inclusive e diversificate: per esempio, si potrebbero assegnare in modo casuale i posti durante le conferenze scientifiche, sperando così di bilanciare le connessioni e, di conseguenza, gli articoli da citare.

«Reti più integrate porterebbero a una migliore diffusione della conoscenza e quindi a un progresso della scienza», secondo Sifan Zhou, economista dell’Università di Xiamen in Cina e coautore dello studio. La disparità di genere all’interno delle citazioni non è altro che l’ennesima disuguaglianza nel campo della scienza.

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