Ambiente

Cop28: cosa devi aspettarti tra presenti, assenti e grandi dubbi

Dal 30 novembre al 12 dicembre i leader del mondo ragionano sul futuro climatico del Paese. Da Re Carlo al Papa, da Bill Gates alla Meloni attesi diversi leader. Ma mancheranno quelli più decisivi
Sultan Ahmed al Jaber, presidente della Cop28
Sultan Ahmed al Jaber, presidente della Cop28 Credit: Rez Meca/Contacto via ZUMA Press

Qualche sorpresa, molte incertezze e soprattutto la paura che alla Cop28 emergono tutta una serie di contraddizioni particolarmente nocive per le sorti climatiche del Pianeta.

Giovedì 30 novembre inizia a Dubai la ventottesima Conferenza delle Parti sul Clima che andrà avanti sino al 12 dicembre, data in cui è attesa la pubblicazione del documento finale che chiarirà cosa quasi 200 Paesi hanno deciso, in termini negoziali, sulle azioni necessarie per tentare di mantenere il mondo entro la fatidica soglia dei +1,5 °C.

In realtà, anche a fronte di un 2023 considerato l’anno più caldo di sempre, tra surriscaldamento globale e il fenomeno naturale di El Niño molto probabilmente supereremo i +1,5 °C già nel 2024.

Il punto cruciale della Cop28 sarà dunque rafforzare una serie di ambizioni climatiche dei Paesi e soprattutto garantire sia dei piani climatici nazionali, sia degli accordi fra Stati a livello di energia, adattamento e mitigazione, per far sì che il Pianeta non vada pericolosamente verso i +2 °C, dato che come ci avverte l’Onu attualmente purtroppo siamo in linea su questo tragico cammino.

Grandi assenti e presenti

La grande novità di quest’anno negli Emirati Arabi sarà per la prima volta presenza di un pontefice a una Cop: Papa Francesco, nonostante un momento difficile a livello di salute e visti i suoi 86 anni, ha programmato un viaggio per raggiungere Dubai nei primi giorni (il 2 dicembre) della Conferenza.

La sua presenza, anche da considerare in una fase geopolitica molto complessa, è un chiaro segnale di come la Chiesa, e non solo con la Laudato Sì, spinga per politiche climatiche immediate e condivise fra i Paesi.

Il grande assente dovrebbe invece essere Joe Biden, il Presidente americano che lo scorso anno in Egitto alla Cop27 aveva parlato davanti a un’aula gremita.

Biden, tra impegni interni (tra cui anche l’accensione dell’albero di Natale) e una fase delicata in Medioriente, molto probabilmente non parteciperà alla Cop.

Ci sarà, anche a tenere banco ai negoziati, l’inviato speciale per il clima John Kerry.

L’assenza di Biden però potrebbe anche indicare altro: chi si aspettava un annuncio importante da parte degli Stati Uniti, per esempio una revisione legata ai piani climatici nazionali rendendoli più ambiziosi, potrebbe rimanere deluso. Il tutto sempre se non sarà Kerry eventualmente a prendersi carico di determinati annunci.

Stesso discorso vale per la Cina che non vedrà la partecipazione di Xi Jinping e dei suoi vertici, ma di delegati e rappresentanti.

Al netto di ciò alla Cop28 saranno comunque presenti oltre 160 capi di Stato e ministri da tutto il mondo e nelle prime giornate è attesa anche la partecipazione della Premier Giorgia Meloni che, proprio con la Cop27 nel novembre scorso, aveva iniziato i suoi primi impegni internazionali di spessore.

Presente anche l’imprenditore Bill Gates e fari accesi su due rappresentati politiche, la senegalese responsabile di cambiamenti climatici Madeleine Diouf Sarr e la Premier delle Barbados Mia Mottley, due fra le donne più impegnate nella difesa del Sud globale.

In totale si parla di quasi 70.000 partecipanti (un record) e, sempre nelle prime giornate, è attesa anche la partecipazione di Re Carlo, da sempre attento alle politiche ambientali, che terrà il discorso inaugurale.

Tra i Paesi che potrebbero annunciare determinati cambiamenti (in positivo) rispetti ai loro impegni climatici nazionali ci sono la Francia, Germania, Giappone, Regno Unito ma anche le crescenti economie di Brasile e India. Il tutto, al netto dell’assenza probabile dei due leader dei maggiori paesi inquinatori, ovvero Usa e Cina.

Le grandi contraddizioni e la paura dell’ “invasione” lobby

Se da una parte alla Cop28 è atteso un gran numero di delegati di Ong, comunità indigene e locali, di gruppi ambientalisti, di think tank e via dicendo, dall’altra la Conferenza ancor prima di debuttare porta in seno diverse contraddizioni sui “presenti” al vertice.

La prima è sempre quella legata al suo presidente, il contestato sultano Al Jaber che è sia un manager impegnato nel mondo delle rinnovabili sia un amministratore delegato di una azienda petrolifera, la Adnoc, fra le principali degli Emirati e fortemente responsabile delle emissioni climalteranti.

Proprio la presidenza, così come la grande presenza delle industrie dell’Oil & Gas emiratine, fanno temere per una escalation della presenza dei lobbisti delle fonti fossili nei padiglioni di Dubai.

In Egitto si era già registrato un forte aumento, oltre il 25% per un totale di 600 lobbisti, di coloro che durante una conferenza sul clima sono impegnati a garantire il continuo sviluppo dei combustibili fossili, i grandi nemici del clima.

In questa nuova Cop si teme lo stesso e, scrivono addirittura media britannici, c’è la paura che i lobbisti possano usare il palcoscenico della Cop proprio per chiudere nuovi accordi internazionali sull’Oil and Gas.

Ci si chiede se, a tenere alta l’attenzione sulle ingerenze del mondo petrolifero, saranno gli attivisti del clima. Anche in questa Cop di Dubai però, tra ragioni di sicurezza, diritti e in buona parte costi, molti giovani dell’onda verde non parteciperanno: pochi, per esempio, gli attivisti attesi dall’Italia e anche a livello mondiale, con Greta Thunberg sempre più fuori da determinati palcoscenici, sarà ancora una volta probabilmente solo l’ugandese Vanessa Nakate il volto più noto della protesta degli attivisti.

I grandi temi, dal “phase out” che mancherà a triplicare le rinnovabili

Quello dei diritti, negli Emirati dove la questione diritti civili resta un problema, sarà uno dei temi sviluppati alla Cop, in particolare nel tentativo di “aumentare l’inclusività” come è stato detto anche dalla presidenza del vertice.

Diritti che vanno osservati anche in termini di transizione energetica giusta ed equa e soprattutto a livello di disuguaglianze sociali e climatiche da affrontare.

In questo contesto il tema della finanza climatica sarà nuovamente protagonista alla Cop. Saranno definiti nuovi passaggi rispetto al famoso fondo Loss & Damage, quello relativo ai finanziamenti dei Paesi più sviluppati nei confronti di quelli meno abbienti e che più pagano il conto di emissioni altrui.

La grande divisione relativa ai combustibili fossili, quelli che più incidono sulla crisi del clima, resterà un tema, ma solo di fondo: difficile immaginare che negli Emirati del petrolio e sotto la presidenza Al Jaber, si possa davvero parlare di “phase out”, l’eliminazione graduale delle fonti fossili (e che dovrebbe essere immediata, almeno da quanto indica la Scienza).

Centrale sarà invece la volontà, sostenuta come messaggio centrale anche dall’Unione europea, di triplicare la produzione di energie rinnovabili e raddoppiare il tasso di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030.

Potrebbero poi arrivare, a sorpresa, annunci di revisioni sui piani nazionali climatici, soprattutto dopo che verrà discusso il Global Stocktake, una sorta di bilancio o pagella dei progressi climatici fatti finora, che si terrà all’inizio del vertice.

Novità di quest’anno sarà poi una intera giornata dedicata alla salute e le sue connessioni con il clima, così come ci saranno diverse nuove iniziative guidate da “contributi e soluzioni” da parte del settore privato.

Critiche e appelli in vista del vertice

Infine, fra i tanti temi in oggetto alla Cop, come noto ci sarà un’attenzione particolare legata ai singoli Paesi: occhi puntati a esempio sugli stessi Emirati, che potrebbero promettere importanti finanziamenti a livello di fondi per il clima, su paesi emergenti come l’India, così come sul rapporto Usa-Cina dopo l’intesa svelata poche settimane prima della Conferenza.

Proprio la Cina è oggi uno dei Paesi che più incarna sia le nuove che le vecchie scelte legate alla transizione energetica: da una parte è sempre più forte sulle energie rinnovabili e si trova sulla strada giusta per tagliare le emissioni di CO2, dall’altra è ancora fortemente, con tanto di nuove costruzioni, dipendente dalle centrali elettriche a carbone, come indicano nuovi report.

La stessa Cina alla Cop di Glasgow aveva preso impegni chiari relativi alle energie pulite e la strada per ridurre le emissioni, ma sembra ancora troppo legata al carbone e alle fonti fossili.

In quella stessa Cop scozzese anche l’Italia si era presa l’impegno di smarcarsi dagli investimenti sul fossile, cosa che invece non è avvenuta. Motivo per cui attraverso un appello cinque organizzazioni della società civile italiana (ActionAid Italia, Focsiv, Movimento Laudato Si’, ReCommon e Wwf Italia) chiedono “che il governo si impegni per interrompere i finanziamenti pubblici internazionali di progetti fossili. Oggi attraverso l’operatività di Sace, l’Italia è il primo finanziatore pubblico di combustibili fossili in Europa e il sesto a livello globale. Chiediamo l’immediata interruzione dei finanziamenti pubblici internazionali di progetti fossili a favore di soli investimenti sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico” scrivono le associazioni.

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