Culture

Anche la cultura può mediare

In un quadro di crescenti tensioni internazionali, il mondo sembra essersi dimenticato del valore diplomatico dell’arte e della musica, che in passato hanno compiuto miracoli anche tra acerrimi nemici: Usa e Cina
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31 ottobre 2023 Aggiornato alle 10:00

Esiste una forma di diplomazia parallela che negli anni si è dimostrata particolarmente efficace ma che è spesso negletta: la diplomazia attraverso la cultura.

È una strategia che utilizza le arti, lo sport, la letteratura e altre forme di espressione per favorire comprensione reciproca e distensione nei rapporti. In tempi di gravissime tensioni come quelle nell’est d’Europa, in Medio Oriente o in varie aree del continente africano, sembra qualcosa di etereo se non un’utopia naif. Eppure funziona.

Tanto per citare un esempio, la normalizzazione delle relazioni tra Stati Uniti e Cina fu facilitata dalla cosiddetta diplomazia del ping-pong, inaugurata nel 1971 quando la squadra di tennis da tavolo statunitense che giocava un torneo in Giappone venne invitata dalla squadra della Repubblica Popolare Cinese a visitare la Cina. Il team a stelle e strisce, lo staff e la stampa al seguito, divennero così i primi americani a mettere piede a Pechino da quando Mao Zedong aveva preso il potere nel 1949, 22 anni prima.

A quella storica visita fece seguito quella della Philadelphia Orchestra nel 1973, la prima di un’orchestra occidentale in Cina. Da allora, innumerevoli scambi culturali ed educativi hanno contribuito ad avvicinare le 2 nazioni, tanto da favorire, subito dopo, lo scambio di visite di rappresentanti ufficiali: nel febbraio del 1972 Richard Nixon, all’epoca presidente Usa, compì una storica visita in Cina mentre 2 mesi dopo il capo delegazione della squadra di ping pong cinese Chuang Tse-tung ricambiò.

Sebbene spesso sottaciuta nel mainstream mediatico italiano e occidentale in genere, la strategia cinese del soft power nei rapporti con l’esterno, utilizzata, come riposta l’Ispi, “coerentemente con i suoi punti di forza: l’economia e la cultura” è sempre stata molto in voga a Pechino.

Qualcosa di simile, tra America e blocchi opposti, avvenne grazie alla cosiddetta diplomazia del jazz: durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti inviavano loro musicisti all’estero, anche nei Paesi del blocco sovietico, per mostrare valori americani e diffondere, attraverso l’universalità della musica, distensione e scambi culturali. Gli ambasciatori di questa splendido corpo diplomatico erano jazzisti del calibro di Louis Amstrong, Duke Ellington o Dave Brubeck.

In un meraviglioso articolo apparso sul New York Times, la cantante Carla Dirlikov Canales richiama proprio la forza della cultura, nella fattispecie della musica, quale potente rimedio alle tensioni spaventose che caratterizzando i nostri tempi. Le drammatiche incomprensioni, secondo l’artista, sono dovute anche a scelte che investono sempre meno nell’arte e nello scambio culturale per privilegiare armi e sguardi cagneschi.

“Le relazioni sempre più conflittuali - scrive - hanno ridotto drasticamente gli scambi culturali. Durante l’amministrazione Trump sono stati cancellati diversi importanti programmi statunitensi, tra cui il programma Fulbright, che inviava studenti americani a studiare in Cina e viceversa. A giugno di quest’anno, si stima che gli americani che studiano in Cina siano solo 350, rispetto ai 15.000 di dieci anni fa”.

Canales concentra molto del suo ragionamento attorno alle relazioni tra Stati Uniti e Cina. Le 2 superpotenze, più che la Russia e la stessa America, infatti, sono l’emblema di 2 diverse concezioni della società e della geopolitica e, soprattutto, alimentano tensioni e venti di guerra ormai da tempo (su tutte, vale la pena citare la questione di Taiwan e le minacce cinesi di attaccare l’isola per impossessarsene e americane di rispondere a possibili aggressioni con le armi, ndr).

“Le relazioni tra gli Stati Uniti e la Cina sono tipicamente viste attraverso le lenti della politica, del commercio e della sicurezza, ma anche le arti sono essenziali. Costruiscono ponti all’interno delle società e tra di esse”.

Ci sono segnali incoraggianti provenienti dalla sponda Washington. Alla fine dello scorso anno, il Congresso ha approvato, con un sostegno bipartisan, il Peace Through Music Diplomacy Act, che promuove programmi di scambio per musicisti, con particolare attenzione al sostegno della risoluzione dei conflitti. A settembre il Dipartimento di Stato ha poi presentato la Global Music Diplomacy Initiative, una sorta di nuova edizione della diplomazia del jazz.

Tra tutti i mezzi di diplomazia parallela Canales, ovviamente, privilegia la musica. Ma più che l’abilità a esibirsi per gli altri e alzare il livello della performance, secondo la cantante sarebbe da esaltare la capacità di ascoltare, sintonizzarsi. “Prima dobbiamo sforzarci di ascoltare veramente, profondamente, la canzone, il cantante, il compositore, la società da cui proviene la musica”.

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