Diritti

Amnesty: l’estrazione di cobalto in Congo viola i diritti umani

Secondo un nuovo rapporto della Ong e dell’Initiative pour la Bonne Gouvernance et les Droits Humains, l’espansione delle miniere nel Paese ha portato a sgomberi forzati, abusi e violenze sessuali
Credit: Junior Kahhah/AFP
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
15 settembre 2023 Aggiornato alle 20:00

La Repubblica Democratica del Congo è il più grande produttore mondiale di cobalto. Quasi il 90% del minerale prodotto in Rdc, dove si trova la metà delle riserve del Pianeta, è destinato alle batterie agli ioni di litio per veicoli elettrici e altri prodotti.

Anche il rame, anch’esso utilizzato nei veicoli elettrici e nei sistemi di energia rinnovabile, è ampiamente prodotto nella Repubblica Democratica del Congo, che è il suo principale produttore in Africa.

Secondo un nuovo rapporto di Amnesty International l’espansione delle miniere di cobalto e rame su scala industriale nel Paese ha portato allo sgombero forzato di intere comunità e a gravi violazioni dei diritti umani, tra cui aggressioni sessuali, incendi dolosi e percosse.

La Ong, insieme all’organizzazione congolese Initiative for Good Governance and Human Rights, o Ibghd, ha lanciato il report intitolato Powering change or business as usual?, che analizza l’espansione industriale delle miniere di cobalto e rame nella Rdc e spiega come “la corsa delle multinazionali per espandere le attività minerarie abbia portato le comunità ad abbandonare le loro case e i loro terreni agricoli”, spesso senza compensazione o adeguato reinsediamento.

Il rapporto spiega che “la batteria media di un veicolo elettrico richiede più di 13 kg di cobalto e la batteria di un telefono cellulare circa 7 g”. Secondo le stime, la domanda di cobalto raggiungerà le 222.000 tonnellate entro il 2025, una cifra tripla rispetto al 2010.

«Le persone vengono sgomberate forzatamente, minacciate o intimidite affinché lascino le loro case o ingannate a dare il loro consenso a risarcimenti irrisori. Spesso non esiste alcun meccanismo di reclamo, responsabilità o accesso alla giustizia», ha dichiarato Donat Kambola, presidente dell’organizzazione congolese.

A febbraio e a settembre 2022 i due gruppi autori della ricerca hanno intervistato 133 persone che sarebbero state colpite da sfratti legati all’estrazione di cobalto e rame in 6 località intorno alla città di Kolwezi, nella provincia di Lualaba. Gli attivisti hanno anche analizzato documenti, fotografie, video, immagini satellitari e risposte delle aziende in merito a quanto emerso.

Il documento da 48 pagine evidenzia le numerose violazioni dei diritti umani avvenute a seguito dell’attività mineraria. Le immagini satellitari mostrano che l’insediamento di Mukumbi, che sorge nella provincia meridionale di Lualaba e un tempo comprendeva circa 400 strutture, tra cui una scuola, una struttura sanitaria e una chiesa, sarebbe stato interamente distrutto nel 2016. I soldati congolesi l’avrebbero bruciato per far posto all’estrazione di cobalto e rame da parte della Chemaf Resources con sede a Dubai. Tre anni dopo, in seguito a una serie di proteste, la società mineraria di cobalto e rame (che ha negato qualsiasi coinvolgimento o illecito) ha accettato di pagare tramite l’autorità locale 1,5 milioni di dollari, ma alcuni ex residenti hanno ricevuto tra i 50 e i 300 dollari.

Sarebbe accaduto qualcosa di simile anche in un quartiere di Kolwezi, in cui “comunità di lunga data sono state distrutte da quando nel 2015 è stata riaperta una vasta miniera di rame e cobalto a cielo aperto” gestita dalla Compagnie Minière de Musonoie Global Sas, o Commus, una joint venture tra la società cinese Zijin Mining e la compagnia mineraria statale Gecamines.

La società sostiene di aver già effettuato i pagamenti di compensazione calcolati dal comitato di ricollocamento del governo provinciale per garantire che la qualità della vita dei residenti non venga compromessa. Ma i gruppi per i diritti umani non li ritengono sufficienti.

Non distante da Kolwezi, dove sorge una filiale dell’Eurasian Resources Group, con sede in Lussemburgo, il cui maggiore azionista è il governo del Kazakistan, 21 agricoltori hanno raccontato che nel febbraio 2020 un gruppo di solati avrebbe occupato l’area e demolito i campi. Una donna incinta di 2 mesi all’epoca dei fatti sarebbe stata sequestrata e violentata da tre soldati.

Ora che il mondo richiede sempre più tecnologie verdi per ridurre le emissioni, è necessario affrontare anche i danni sociali e ambientali che l’estrazione di questi minerali sta causando.

Qualcosa si sta muovendo: a luglio la Camera degli Stati Uniti ha introdotto una misura per vietare i prodotti importati contenenti cobalto e rame ed estratti attraverso il lavoro minorile e altre condizioni abusive in Congo. La giustizia climatica, sostiene Amnesty International, richiede una transizione giusta. La decarbonizzazione dell’economia globale non deve portare a ulteriori violazioni dei diritti umani.

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