Diritti

Sport e disabilità: una pronuncia contro la discriminazione indiretta

La piena inclusione in ambito sportivo non è ancora stata raggiunta. L’ennesima conferma arriva dal Tribunale di Biella e riguarda la revoca del tesseramento a un giovane ciclista con disturbo pervasivo dello sviluppo
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3 maggio 2023 Aggiornato alle 06:30

Nel nostro Paese l’attività sportiva, a livello sia amatoriale che agonistico, rappresenta da molto tempo un terreno fertile per la piena inclusione sociale delle persone con disabilità e per l’abbattimento delle barriere sociali - tant’è vero che i primi Giochi paraolimpici della storia ebbero luogo in occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960 - che purtroppo hanno resistito più a lungo o peggio ancora continuano a resistere in altri settori della vita sociale.

Ciò non toglie che pure nell’immediato presente possano riscontarsi nello sport italiano delle condotte ostative alla pratica sportiva da parte di atleti con disabilità motorie o cognitive, come nel caso affrontato dal Tribunale di Biella in un’innovativa ordinanza dell’11 febbraio 2023, con la quale è stata ritenuta sussistente una condotta indirettamente discriminatoria in ambito sportivo ai sensi della L. n. 67/2006 recante “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”.

Scendendo nel dettaglio il Tribunale di Biella è stato chiamato a pronunciarsi sulla revoca da parte della Federazione Ciclistica Italiana del tesseramento nella categoria agonistica «Junior Sport» di un giovane ciclista caratterizzato da disturbo pervasivo dello sviluppo, nonostante l’atleta fosse in possesso di un certificato medico rilasciato dall’Istituto di Medicina dello Sport di Torino – F.I.S.D. attestante l’idoneità del medesimo alla pratica sportiva agonistica del ciclismo.

La Federazione Ciclistica Italiana aveva giustificato la revoca del tesseramento sulla base delle “Norme attuative atleti intellectual disability” approvate con la Delibera Presidenziale n. 8 del 3 febbraio 2020, secondo le quali - ai fini del tesseramento degli atleti con disabilità intellettiva e relazionale - “è richiesto solo il «certificato di idoneità alla pratica di attività sportiva di tipo non agonistico» ai sensi del D.M. 24 aprile 2013”, il che, tuttavia, ha fatto notare il Tribunale di Biella, significa escludere in radice la possibilità della pratica agonistica del ciclismo per qualsivoglia soggetto disabile.

Il Giudice ha ritenuto che la disciplina adottata dalla Federazione Ciclistica Italiana non potesse assurgere a giustificazione della revoca del tesseramento, in quanto, da un lato, confliggente con il diritto delle persone disabili alla pratica dell’attività sportiva riconosciuto dal Decreto del Ministro della Sanità del 4 marzo 1993, disciplinante i presupposti per la certificazione d’idoneità per la pratica sportiva agonistica per gli atleti con disabilità, e, dall’altro, mancando nel caso di specie qualsivoglia evidenza medica che il disturbo pervasivo dello sviluppo potesse in concreto impedire la pratica agonistica del ciclismo da parte del giovane atleta.

L’ordinanza ha quindi ingiunto alla Federazione Ciclistica Italiana di cessare dal comportamento discriminatorio rimuovendo gli ostacoli che costituiscono impedimento per la pratica del ciclismo a livello agonistico da parte dell’atleta ricorrente.

Il caso giunto all’attenzione del Tribunale di Biella dimostra come la piena inclusione in ambito sportivo non sia ancora stata del tutto raggiunta, però, nonostante diverse salite debbano ancora essere superate, grazie a questo colpo di pedale il traguardo appare più vicino.

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