Economia

Plastica: ne riutilizziamo solo il 17%

Secondo le stime dell’Ocse, entro il 2060 il consumo di plastica triplicherà. Il riciclo non sta avendo gli effetti sperati, soprattutto in Italia, dove il tasso di raccolta è fermo al 46%
Credit: Anna Shvets
Tempo di lettura 4 min lettura
4 maggio 2023 Aggiornato alle 09:00

La plastica è probabilmente il materiale che più comunemente utilizziamo ogni giorno. Sarà per questo che l’inquinamento da plastica è uno dei problemi ambientali più urgenti, a causa non solo del grande consumo mondiale, ma anche delle problematiche legate al suo riciclo.

Problematiche particolarmente evidenti nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto in Asia e in Africa. Il riciclo della plastica è regolato sia a livello europeo che a livello nazionale da alcune normative, con l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 e limitare l’utilizzo di plastica monouso. Nonostante le apposite normative, però, la situazione globale del riciclo di plastica non è delle migliori.

Secondo lo studio condotto da Laboratorio Ref, nel nostro Paese il tasso di riuso della plastica è pari al 17%. Un peccato, perché per ogni prodotto nuovo è necessario l’83% di plastica nuova, meno costosa di quella riciclata. Le conseguenze? Ogni anno, nel mondo, la produzione di plastica aumenta di 450 milioni di tonnellate.

Ma non finisce qui: le stime dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) prevedono ulteriori aumenti, tanto che nel 2060 il consumo di plastica triplicherà. Nel 2020 su 3,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici in Italia, solo il 42%, quindi 1,6 milioni, è stato differenziato e, di questa percentuale, solo il 39% è stato riciclato.

Il riciclaggio convenzionale non ha dato i risultati sperati: in Unione europea, nel 2019, sono stati fissati i seguenti obiettivi: entro il 2025 il tasso di raccolta di Pet dovrà raggiungere il 77%, per poi arrivare al 90% nel 2030. In Italia, però, attualmente il tasso di raccolta è fermo al 46%, molto distante dal target europeo.

Per arginare il problema, molti Paesi si sono mossi puntando sui Drs (Deposit Return System): un sistema in base al quale i consumatori che acquistano un prodotto, come per esempio una bevanda in bottiglia di plastica, pagano una somma aggiuntiva di denaro – una sorta di cauzione – che verrà restituita al momento della riconsegna del contenitore vuoto presso un punto di raccolta. È un sistema che favorisce l’economia circolare e incentiva i cittadini a riportare le bottiglie di plastica vuote.

yy

I Paesi più virtuosi in Europa sono la Svezia, la Norvegia, l’Islanda, la Finlandia, la Danimarca, i Paesi Bassi e la Germania: tutti Paesi nordici. E l’Italia? Il nostro Paese è ancora molto indietro, la distribuzione dei Drs ha trovato l’opposizione del settore industriale e del Conai (Consorzio nazionale imballaggi) a causa degli eccessivi costi. Da qui, l’alternativa del Conai: affiancare sistemi di raccolta selettiva a quelli tradizionali.

Anche il sistema Drs comunque presenta delle criticità: «non mira a prevenire la produzione della plastica. C’è il rischio di far passare il messaggio che la plastica sia cosa buona e giusta, se riciclata», così si è espresso Mario Grosso, docente di Solid Waste management and Treatment presso il Politecnico di Milano.

Un’altra alternativa può essere il riciclo chimico: bruciare la plastica per creare olio, che a sua volta servirà per creare nuova plastica. Nonostante il riciclo chimico sia stato inserito nella tassonomia verde dell’Unione europea, ci sono comunque dei rischi da analizzare: è il caso dell’utilizzo di sostante potenzialmente tossiche.

Alla base di tutto, comunque, è necessario ridurre il consumo di plastica: secondo il rapporto La plastica in Italia, vizio o virtù realizzato da Ecco, think tank italiano per il clima, l’Italia è il secondo Paese in Europa per il suo utilizzo. Nel 2020 sono state consumate 5,9 milioni di tonnellate di polimeri fossili, corrispondenti a quasi 100 kg a persona.

Inoltre, si evidenzia che in Europa il 99% della plastica vergine viene prodotta utilizzando come materie prime petrolio e gas naturale e i combustibili fossili vengono impiegati anche per la generazione del calore necessario durante il processo produttivo. Ciò comporta l’immissione in atmosfera di circa 1,7 kg di CO2 per ogni kg di plastica.

Quindi, su cosa bisogna spingere? Primo fra tutti, sulla riduzione del consumo di plastiche vergini; poi sull’aumento del riciclo e del riutilizzo, quindi bandire completamente il monouso; e, infine, aumentare le plastiche a base vegetale.

Leggi anche
Ambiente
di Chiara Manetti 2 min lettura