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L’alpinista solitario alla conquista dell’Everest 

Raggiungere gli 8.000 metri di altitudine, d’inverno, in solitaria, senza ossigeno aggiuntivo. È la sfida di Jost Kobus, scalatore tedesco
Credit: Josh Kokobusch
Tempo di lettura 3 min lettura
6 febbraio 2022 Aggiornato alle 07:00

Tra gennaio e febbraio sul monte Everest, la vetta più alta del mondo situata nella catena dell’Himalaya, non ci vanno molte persone. Lo sapeva fin dall’inizio Jost Kobusch, alpinista tedesco classe 1992, quando nell’inverno di 2 anni fa aveva fatto un primo tentativo in solitaria lungo l’Hornbein couloir, il canale stretto e ripido sulla parete nord dell’Everest. Era riuscito a raggiungere la quota massima di 7.300 metri prima di ritirarsi.

Nessun fallimento, bensì una promessa ancor prima che una sfida senza precedenti: raggiungere gli 8.000 metri di altitudine, d’inverno, in solitaria, senza ossigeno aggiuntivo. Solo Jost e la vetta più alta al mondo da scalare (qui è possibile seguire il suo viaggio iniziato il 2 novembre a 1.300 metri).

A quelle altitudini, in inverno, i gradi sottozero sono circa 65. Se dovesse riuscirci, Jost entrerebbe nella storia dell’alpinismo. Da quando Edmund Hillary e Tenzing Norgay, l’alpinista nepalese-indiano di etnia sherpa, sono stati i primi a raggiungere la vetta, nel 1953, più di 6.000 persone sono salite sulla cima degli 8.000 metri più affascinanti sulla Terra.

«Sta diventando sempre più difficile compiere qualcosa di eccezionale sugli ottomila perché è stato fatto già tanto, in particolare sull’Everest», ha affermato Billi Bierling, amministratore delegato dell’Himalayan Database. Raggiungere una delle 14 montagne della Terra che superano gli 8.000 metri di altitudine sopra il livello del mare, nel freddo glaciale e con i venti invernali (sull’Everest possono raggiungere i 320 km/h), rimane un’impresa storica. Lo scorso anno, un gruppo di alpinisti nepalesi è riuscita a scalare con successo il K2, la seconda vetta più alta al mondo, per la prima volta in inverno.

Kobusch però, sta cercando di alzare ulteriormente la posta in gioco: non solo si sta arrampicando in inverno, da solo e senza ossigeno aggiuntivo, ma sta cercando di raggiungere la cima dell’Everest attraverso la cresta occidentale, un sentiero molto più difficoltoso delle due vie più comuni, che intraprende quasi il 98% degli alpinisti. Dovendo fare i conti con pareti a strapiombo, ghiaccio, roccia e neve.

«L’impresa di Jost è tecnicamente molto impegnativa e la sta portando avanti completamente da solo. Se ce la farà, sarà sulla stessa vetta su cui si trovano tutti. Ma il modo in cui potrebbe arrivarci, non si può davvero paragonare ad altri» ha detto Bierling.

Nel 2017 Kobusch ha scalato il Nangpai Gosum I, allora la quarta vetta inviolata più alta al mondo, da solo. «Poi sono andato alla ricerca di quello spazio inesplorato tra le cime degli 8.000 metri, per il progetto più difficile e più grande che potessi immaginare» aveva dichiarato. «Ed era abbastanza ovvio. Era l’Everest».

Molto più che una sfida, un obiettivo, lontano da una competizione. Più che altro sopravvivenza e pura adrenalina. A -65 gradi con venti che possono raggiungere i 320 km/h.