Futuro

Così l’Australia ha quasi sconfitto l’Hiv

A 40 anni dal primo caso nel Paese, le diagnosi sono al minimo storico: complici le strategie dei governi, il senso di comunità e i farmaci per prevenire l’infezione
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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3 febbraio 2022 Aggiornato alle 07:00

Nel febbraio del 1981 un uomo che viveva nel centro di Sidney si sentì male. Iniziò a essere molto stanco, a sudare la notte e a perdere peso. Nessuno dei farmaci con cui tentò di curarlo il suo medico funzionò e quando arrivò al Royal Prince Hospital era agosto, aveva la febbre e il aveva il viso molto scavato. Quando morì, a settembre, nessuno sapeva cosa lo avesse fatto stare così. Si scoprì solo 12 anni dopo, quando il dottor Barrie Mayall, medico curante dell’uomo, ricevette una chiamata da un giovane ricercatore che gli spiegò l’origine di quel male ancora ignoto: si trattava del primo caso di HIV in Australia.

Quarant’anni dopo, con il virus che ha ucciso 39 milioni di persone in tutto il mondo e 8.000 in Australia, il Paese ha registrato il numero più basso mai registrato di nuove diagnosi di Hiv. Come ha spiegato alla Bbc Eamonn Murphy, vicedirettore esecutivo per i progetti dell’UNAIDS, il programma congiunto delle Nazioni Unite sull’Hiv/Aids, «l’Australia è uno dei pochi paesi con le tre “90s”: il 90% dei casi è stato diagnosticato, il 90% è in cura e il 90% ha una carica virale non rilevabile, il che significa che non può trasmettere l’HIV sessualmente».

A dicembre 2021 il Kirby Institute dell’Università del Nuovo Galles del Sud, con sede a Sidney, ha rilevato 633 nuovi casi: una tendenza al ribasso da 6 anni a questa parte, anche se gli esperti dicono che il sostanziale calo rispetto ai 901 del 2019 sia dovuto alle restrizioni da Covid-19. Insomma, una pandemia che ne limita un’altra. «Siamo sulla buona strada per porre fine all’HIV nello stato più popoloso dell’Australia, il Nuovo Galles del Sud, entro il 2030» ha detto alla Bbc Matthew Vaughan di ACON, un’organizzazione che promuove la salute ed è specializzata nella prevenzione dell’HIV.

Ruolo essenziale nel declino dei contagi l’ha avuto la Prep, che sta per “pofilassi pre-esposizione”: consiste nell’assunzione di medicinali per prevenire un’infezione. Nel caso dell’Hiv, si tratta di prendere delle pastiglie prima di un rapporto sessuale o di un comportamento a rischio: ciò vuol dire che il farmaco viene preso da sieronegativi (che non hanno l’Hiv) per non diventare sieropositivi. È un modello assunto dall’Unaids in vari Paesi e l’Australia è stata uno dei primi a implementarlo su larga scala, rendendolo gratuito. Una ricerca pubblicata a luglio 2021 sulla rivista medico scientifica Lancet ha dimostrato che, facendo assumere regolarmente i farmaci previsti dalla Prep, nell’arco di 3 anni i casi di infezione sono diminuiti nel 92% con 1,61 contagi per mille persone all’anno, 10 volte in meno di quanto sarebbe accaduto senza la somministrazione del farmaco.

Già alla fine degli anni Ottanta l’Australia era stata decretata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come un modello di prevenzione da emulare per gli altri Paesi. Complice la strategia del governo di coinvolgimento della popolazione più colpita, in particolare gli uomini gay, in tutte le fasi della risposta al contagio, dalla progettazione, alla ricerca, al finanziamento. La geografia isolata dell’Australia, poi, ha ritardato la diffusione dei contagi, come è successo anche con il coronavirus dal 2019. E la comunità australiana, fatta di volontari che offrivano assistenza domiciliare a malati e moribondi, personale e assistenza telefonica, ha fatto il resto. L’eliminazione è alle porte, l’Australia può farcela.