Diritti

Siamo disposti a pagarla di più, quella barretta?

Sfruttamento (spesso minorile) e deforestazione sono le ripercussioni meno note dell’industria del cioccolato. Parte della soluzione, siamo noi. E le nostre scelte
Credit: Tamas Pap
Tempo di lettura 5 min lettura
7 dicembre 2022 Aggiornato alle 09:00

Se dovessi scegliere quale tra le decine di varietà di barrette di cioccolato acquistare al supermercato da che criteri ti faresti guidare?

Di sicuro il gusto, poi il prezzo, la qualità e probabilmente anche la sostenibilità, ambientale e sociale. Ma cosa succede quando quest’ultima va a incidere sul primo criterio mettendo mano al nostro portafogli?

A nessunƏ di noi fa piacere sapere che, come riportato dal report del Norc, un centro di ricerca dell’Università di Chicago, nel 2020 solo in Ghana e Costa d’Avorio erano un milione e mezzo i bambini impiegati nella coltivazione del cacao (95% dei quali in condizioni di sfruttamento), o che tra il 2000 e il 2019 2,4 milioni di ettari di foresta sono stati distrutti nella sola Costa d’Avorio per far spazio a campi di cacao.

Ma saremmo davvero dispostƏ a pagare quella barretta molto di più per avere la certezza che è 100% sostenibile ed equa?

È questa la diatriba in corso tra i Paesi europei e quelli dell’Africa Occidentale: chi deve pagare il prezzo della sostenibilità? Le grandi industrie produttrici di cioccolato (e quindi per effetto a cascata noi cnsumatorƏ) oppure Ə agricoltorƏ africanƏ?

Ghana e Costa d’Avorio sono i maggiori produttori di cacao al mondo, con rispettivamente 2.961.000 tonnellate prodotte nel 2019. Più del 60% della produzione è destinata al mercato dell’Unione europea che proprio in questi giorni sta mettendo a punto delle regole volte ad assicurare che il cacao importato dai Paesi membri non contribuisca alla deforestazione o allo sfruttamento del lavoro minorile.

Un obiettivo certamente nobile, ma che ha un costo. E bisogna decidere chi deve pagarlo.

Per rispettare questi standard i produttori ghanesi e ivoriani chiedono prezzi più alti. Solo così, dicono, possono garantire la sostenibilità ambientale e sociale delle loro esportazioni. Del resto, la maggior parte della coltivazione del cacao ricade sulle spalle di agricoltorƏ impoveritƏ, costretti per sopravvivere a produrre il più possibile (e per farlo devono strappare sempre più terra coltivabile alla foresta, talvolta anche in aree protette) a prezzi competitivi (impossibilitatƏ a pagare salari a lavoratorƏ adulti finiscono per assumere bambinƏ).

Per cercare di risolvere la situazione, nel 2019 i due Paesi africani hanno creato un cartello sul modello di quello dei Paesi esportatori di petrolio, introducendo un ammontare fisso di 400$ per tonnellata di cacao, con l’obiettivo di alzare il prezzo fino a coprire almeno i costi di produzione.

Le grandi multinazionali della cioccolata, però, anche se alla luce del sole hanno mostrato di accettare la cosa, hanno cercato ogni pretesto per non pagare la quota fissa richiesta daƏ produttorƏ preferendo spingere su programmi individuali a sostegno della sostenibilità.

In sostanza, operazioni di greenwashing che, se da un lato servono ad aumentare la loro credibilità presso Ə consumatorƏ europe Ə, dall’altro non hanno aumentato né l’efficienza né i profitti deƏ agricoltorƏ.

Secondo Oxfam, molto spesso questo genere di iniziative si limita a qualche ora di formazione su come aumentare la produttività, senza poi fornire aiuti concreti per coprire le spese per lavoro extra o per i fertilizzanti che negli ultimi anni hanno visto i prezzi aumentare del 200%.

La nuova legislazione europea potrebbe rappresentare un cambiamento, ma molto dipenderà da quanto i Paesi membri saranno disposti ad assumersene la responsabilità.

Tra i punti di attenzione del testo in discussione c’è la questione della due diligence, che obbliga le compagnie produttrici di cioccolata a verificare Ə produttorƏ con cui instaurano relazioni commerciali stabili.

Questo potrebbe portare a una precarietà di tali relazioni, poiché l’approvvigionamento saltuario solleverebbe le industrie della cioccolata dalla responsabilità della due diligence, rendendo la vita ancora più difficile per Ə agricoltorƏ che perderebbero la sicurezza di trovare acquirenti per il loro cacao.

Un altro tema da mettere a punto è la clausola della responsabilità civile, che prevede il pagamento di un risarcimento nel caso in cui la mancanza di due diligence abbia creato danni. La regola non si applica però se il danno è stato causato esclusivamente da uno dei partner senza coinvolgere direttamente l’azienda.

È evidente che una regolamentazione così ampia lascia grandi spazi di manovra e comode vie di fuga, risultando poco, o per nulla, efficace. Solo restringendo le maglie della legge sarà possibile promuovere la responsabilità sociale e ambientale delle imprese.

Questo dipenderà da quanto i Paesi dell’Unione vorranno premere sulle industrie della cioccolata, ma anche (in parte) dalle nostre scelte di consumo. Perché prima di rovesciare tutta la responsabilità su istituzioni e grandi aziende dovremmo sempre chiederci: siamo davvero dispostƏ a pagarla di più, quella barretta?

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