Ambiente

Pesticidi nella frutta: più 53% in nove anni

L’allarme è stato lanciato dal Pesticide Action Network (PAN). More e mele la frutta più contaminata. E ora, la crisi dei prezzi e il conflitto rischiano di peggiorare la situazione
Credit: Davisuko/unsplash
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31 maggio 2022 Aggiornato alle 07:00

Mangiare la frutta è sano, si dice sempre. Già, ma quanto?

Un nuovo studio condotto dal Pesticide Action Network (PAN) Europe ci avverte che la frutta europea non è in realtà così incontaminata: anzi, per molti aspetti è piena di residui di pesticidi, di cui alcuni anche tossici.

Il report ci allerta sul fatto che negli ultimi nove anni, da quando lo studio tiene conto dei valori analizzati, in Europa la frutta con tracce di “cocktail chimici” potenzialmente dannosi è aumentata del 53%. Un aumento definito “drammatico” e “scioccante” dai relatori.

Per esempio in un terzo delle mele e la metà di tutte le more analizzate c’erano sostanze tossiche legate ai pesticidi collegabili anche con malattie cardiache e cancro.

Nei kiwi la presenza di questi residui è cresciuta dal 4% nel 2011 al 32% nel 2019 mentre nelle ciliegie è addirittura raddoppiata nello stesso periodo (dal 22 al 50%).

L’indagine si è basata su frutta comunemente consumata in Europa, e in parte importata, coinvolgendo oltre 100.000 campioni.

Salomé Roynel del PAN ha spiegato che «ora i consumatori si trovano in una posizione terribile, quando viene detto loro di mangiare frutta fresca, perché gran parte di questa è contaminata dai residui di pesticidi più tossici legati a gravi impatti sulla salute. Ci è chiaro che i governi non hanno alcuna intenzione di vietare questi pesticidi, qualunque cosa dica la legge. Hanno troppa paura della lobby agricola, che dipende da potenti prodotti chimici».

I frutti più contaminati sono risultati le more (51%), le pesche (45%), le fragole (38%), le ciliegie (35%) e le albicocche (35%). In alcuni casi è stato rilevato che l’87% delle pere in Belgio e l’85% di quelle in Portogallo erano contaminate da almeno un pesticida tossico.

Tracce di prodotti chimici pericolosi per la salute sono state trovate anche in alcune verdure come il sedano (50%) e il cavolo riccio (31%).

Se i risultati diffusi dal Pesticide Action Network (PAN) descrivono una situazione drammatica, altri attori della filiera agroalimentare smorzano però l’allarmismo.

«La presenza di tracce di sostanze non significa che il cibo non sia sicuro - ha precisato a esempio Anika Gatt Seretny di CropLife Europe - e l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha condotto ricerche approfondite su questo argomento, dimostrando che il rischio per i consumatori derivante dall’esposizione cumulativa alimentare è al di sotto della soglia e quindi non è un fattore di rischio».

Sebbene si vada in direzione, come vuole l’Ue, di ulteriore taglio del 50% dei pesticidi pericolosi entro il 2030, lo studio sottolinea però come molte percentuali siano cresciute proprio dal 2011, anno in cui i governi Ue avrebbero dovuto iniziare a vietare l’uso di diverse sostanze.

In attesa di altri studi e indagini che forniscono un quadro completo e imparziale della situazione, l’allarme su un possibile aumento di prodotti fitosanitari, pesticidi, insetticidi e fungicidi oggi potrebbe essere però legato alla necessità di soddisfare una domanda di mercato che trova sempre meno offerta a causa di una produzione ridotta da effetti della crisi climatica e conflitti.

Secondo Olivier de Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite su povertà e diritti umani, «purtroppo ora con la crisi alimentare che si è sviluppata abbiamo una pressione molto forte, in particolare dai sindacati degli agricoltori che affermano che dobbiamo aumentare la produzione per compensare l’interruzione delle forniture di grano, olio vegetale e mais dall’Ucraina e dalla Russia» e questo discorso “pericoloso” potrebbe spingere, esattamente come avviene con i combustibili fossili per compensare la crisi energetica in corso, a un aumento dell’uso dei pesticidi.

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