Culture

Elizabeth e Anna: le ragazze che ingannarono l’America

Una voleva rivoluzionare la sanità pubblica, l’altra ambiva a fondare un club esclusivo a Manhattan. Entrambe c’erano quasi riuscite. Ascesa e declino di due truffatrici coi fiocchi raccontate da Disney+ e Netflix
Elizabeth Holmes
Elizabeth Holmes Credit: Neal Waters/ZUMA Press Wire
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
28 maggio 2022 Aggiornato alle 20:00

Era il 1817 quando una giovane donna di nome May Baker si presentò come una misteriosa principessa di una sperduta isola dell’Oceano Indiano. Un giorno la sfortunata fanciulla era stata rapita dai pirati e aveva perso così tutti i suoi averi.

La storia parve talmente plausibile all’epoca che May Baker visse per lungo tempo tra le ricchezze e gli agi dell’alta società, soprannominata da chi la conosceva come la Caraboo Princess, nonostante fosse in realtà la figlia di un modesto calzolaio.

Le 2 truffatrici di cui parleremo a breve non hanno nulla da invidiarle. Tra di loro tanti gli aspetti in comune: sono donne dei nostri giorni, hanno commesso i loro reati negli Stati Uniti e sono state entrambe, inevitabilmente, smascherate. Diventando perfetti personaggi per fortunate serie tv.

Elizabeth Holmes e la grande “bufala” sanitaria

Da enfant prodige a regina della Silicon Valley: la storia di una delle più abili truffatrici d’America continua a suscitare interesse, tanto da ispirare la serie The Dropout, basata sull’omonimo podcast di ABC News e da poco disponibile anche in Italia su Disney+.

A prestare il volto a Elizabeth Holmes è la poliedrica Amanda Seyfried, mentre è in produzione per il grande schermo un film sulla vicenda con Jennifer Lawrence. Seyfried, con il suo chignon di capelli biondi, il rossetto rosso ciliegia e il look total black, rievoca perfettamente l’immagine della giovane imprenditrice. Tutto nell’aspetto e nel modo di comunicare di Elizabeth Holmes era infatti curato nei minimi dettagli. La scelta di indossare sempre dolcevita neri sembrava un omaggio e un riferimento a un’iconografia precisa, quella di Steve Jobs, di cui si dichiarava una profonda ammiratrice. Le leggende sul suo passato di bambina prodigio alimentavano un’aura di mistero e di predestinazione. La terribile fobia degli aghi concludeva il quadro costruito ad arte.

Nei primi anni 2000, all’età di 19 anni aveva lasciato gli studi universitari alla Standford University - un’altra analogia col suo idolo Steve Jobs, che aveva abbandonato gli studi per dedicarsi ai suoi progetti - e con solo il diploma in tasca era riuscita a fondare la sua startup: Theranos, un’azienda che avrebbe reso “democratico il sistema sanitario statunitense”, grazie a una tecnologia all’avanguardia che pareva destinata a surclassare il tradizionale prelievo di sangue con una semplice e rapida puntura al polpastrello.

Una startup che aveva in breve moltiplicato il proprio valore sul mercato, arrivando a pesare 9 miliardi di dollari. Mentre le copertine di Fortune, Glamour e Vanity Fair se la contendevano e il Time Magazine la consacrava “genio visionario”, l’intrepida startupper riceveva anche i complimenti sentiti dell’allora vicepresidente Joe Biden.

In 10 anni Holmes non solo era divenuta una delle CEO più in vista, ma promettendo test clinici con una sola goccia di sangue, aveva anche ottenuto 700 milioni di dollari di investimenti e un contratto di collaborazione con la catena di farmacie Walgreen.

Dietro le apparenze, però, circondata da un consiglio di amministrazione privo di scienziati, Elizabeth Holmes aveva continuato a falsificare i risultati dei test e a mettere a tacere i sospetti, nella speranza di riuscire un giorno a creare la tecnologia del futuro.

Nel 2017 il castello di carta crolla: un giornalista del Wall Street Journal rivela al mondo la verità. Pochi mesi fa si è concluso il primo processo a suo carico, a conclusione del quale è stata giudicata colpevole quattro capi d’accusa di truffa, compreso quello più importante, cioè di avere mentito agli investitori di Theranos.

Anna Sorokin e la finta eredità

Un gigantesco raggiro è anche quello che aveva orchestrato Anna Sorokin ai danni dei più grandi istituti di credito di New York. La truffa portata avanti dalla giovane criminale non riguardava però solo la sua attività lavorativa, ma la sua stessa identità.

Certo, l’inganno è durato molto meno rispetto alla messa in scena ideata da Elizabeth Holmes, eppure anche la storia di Anna Sorokin, meglio nota come Anna Delvey al tempo dei fatti, ha dell’incredibile e si è conclusa più o meno nello stesso periodo.

Per oltre 10 mesi, tra il 2016 e il 2017, Sorokin si era finta un’ereditiera tedesca, figlia di un certo Delvey e aveva millantato una cifra da capogiro in un fantomatico fondo fiduciario in Germania, intoccabile fino al proprio 25° compleanno per volontà del padre. Con questo semplice escamotage e assegni fraudolenti, era riuscita per mesi a truffare banche, ristoranti, hotel, uomini d’affari di Manhattan e persino amici, per un totale di 270.000 dollari.

Nata in Russia nel 1991, in una famiglia modesta, si era trasferita prima a Berlino nel 2011 e poi a Londra per studiare moda al Central St. Martin’s College. Aveva ben presto abbandonato gli studi per recarsi a Parigi per uno stage nella redazione di Purple.

Circondata da influencer e imprenditori, aveva intrapreso la sua inesorabile scalata verso il successo. Già durante la sua permanenza a Parigi, il suo account Instagram contava 40.000 mila followers. A New York, aveva adottato uno stile di vita sopra le righe, spostandosi da un albergo extra-lusso all’altro, dal Beekman Hotel e al W Hotel, affittando suite da migliaia di dollari a notte e lasciando mance da centinaia di dollari.

Il suo progetto? Creare la Anna Delvay Foundation, una sorta di club esclusivo, che secondo le sue speranze sarebbe diventato un vero e proprio polo di attrazione per gli artisti più famosi della metropoli.

L’aspetto assurdo della vicenda è che vari studi legali e avvocati di un certo prestigio avevano finito per garantire per lei di fronte agli istituti di credito a cui Sorokin si rivolgeva, senza indagare troppo, soggiogati dal fascino e dalla sicurezza che la ragazza dimostrava. La sua ascesa all’Olimpo sarebbe stata repentina quanto la sua caduta.

La menzogna, infatti, non poteva però reggere a lungo. Quando gli hotel avevano cominciato a sbatterla fuori per i mancati pagamenti e varie banche le avevano negato i prestiti, qualcuno aveva iniziato a indagare su di lei.

Così nel 2017, Anna Sorokin era stata ammanettata, all’entrata di un centro di riabilitazione a Malibu, in California, dove si era rifugiata per evitare di comparire di fronte al giudice. Le udienze in tribunale si sono trasformate nel corso del tempo in passerelle in cui sfoggiare outfit e abiti griffati: più volte si è rifiutata di presentarsi con la divisa penitenziaria e secondo alcuni rumors avrebbe assunto una stylist di lusso.

Ad oggi è dietro le sbarre e deve scontare 12 anni di carcere per 8 capi di imputazione. A marzo è stata estradata in Germania.

Anche la sua storia, come quella di Elizabeth Holmes è stata raccontata in una serie targata Netflix, Inventing Anna, prodotta dalla regina della serialità Shonda Rhimes. Nei panni della truffatrice più trendy degli Stati Uniti la giovane attrice Julia Garner.

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