Futuro

C’è un nuovo delivery “spaziale”

La startup statunitense Inversion Space sta testando delle capsule da inviare in orbita per quando prenderà piede il turismo stellare. Il problema è come farle rientrare in sicurezza sulla Terra
Valeria Pantani
Valeria Pantani giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
22 marzo 2022 Aggiornato alle 13:20

Inversion Space è una start-up californiana che guarda lontano, lontanissimo: non solo mira a lanciare oggetti nello spazio, ma punta a fornire un servizio utile quando i viaggi intorno alla Terra saranno alla portata di tutti.

I fondatori sono due giovani imprenditori, Austin Briggs e Justin Fiaschetti, che si sono incontrati per la prima volta alla Boston University. Il loro è un progetto ambizioso ma che, piano piano, sta prendendo vita. L’azienda sta collaudando una piccola capsula da spedire in orbita attorno alla Terra e da far tornare, al momento giusto, al fine di consegnare articoli in ogni parte del mondo. Una sorta di delivery spaziale.

Secondo il New York Times, Inversion spera che, man mano che i viaggi nello spazio diventeranno più economici, le agenzie governative e le aziende vorranno non solo mandare oggetti in orbita, ma anche riportarli sulla Terra. L’impresa americana vorrebbe lanciare la sua prima capsula dimostrativa (Ray) nel 2023, mentre per Arco (il loro “Cavallo di battaglia”, più grande e capiente) bisognerà aspettare il 2025.

Il progetto prevede il lancio del dispositivo in orbita, con un tempo di permanenza di 5 anni. Quando sarà il momento, questo potrà rientrare nell’atmosfera e atterrare delicatamente sul Pianeta con il proprio paracadute, il tutto entro una decina di miglia dall’obiettivo scelto. Ed è proprio il rientro la sfida principale: tra i rischi c’è quello che la capsula prenda fuoco e si schianti.

Come ha scritto il New York Times, secondo la professoressa Seetha Raghavan (dell’Università della Florida centrale) le ridotte dimensioni del dispositivo renderebbero il controllo del calore, delle vibrazioni e della decelerazione ancora più difficili da gestire.

Nei primi giorni di marzo, Inversion ha lanciato Ray «da un aereo che volava a 3.000 piedi - ha riportato il giornale statunitense - La capsula, di 20 pollici di diametro, ha fatto una capriola in aria per alcuni secondi prima che il paracadute si aprisse e portasse il contenitore in posizione verticale per una lenta discesa».

L’obiettivo del test era proprio capire come migliorare il design del paracadute: questo, infatti, deve essere capace di rallentare l’atterraggio e di non far oscillare il prodotto. Fiaschetti, però, ha riferito al giornale che l’apertura durante il test è stata eccessivamente lenta: «All’inizio ti aspetti che le cose non vadano perfettamente come volevi», ha aggiunto.

Tra le garanzie fornite da Inversion c’è l’utilizzo di sistemi per evitare detriti e collisioni in orbita, oltre che l’utilizzo di materiale poco riflettente, così da rassicurare gli astronomi che temono per l’osservazione dei corpi celesti. Oltre a loro, anche alcuni media si mostrano scettici rispetto al progetto: «Se qualcosa di tutto questo ti sembra inverosimile, non sei solo» ha scritto il sito di informazione Futurism.com, mentre il sito web Curbed ha riportato alcuni paragrafi dell’articolo del New York Times seguiti da un semplice «No».

In realtà, questo non sarebbe il primo tentativo di delivery “aereo”: nel 2016 Domino’s ha consegnato una pizza in Nuova Zelanda tramite un drone, grazie alla collaborazione con la compagnia Flirtey. Anche Amazon, Alphabet e altri giganti della tecnologia stanno investendo in servizi di consegna con droni.

Inversion Space, però, punta a qualcosa di più. «I fondatori dell’azienda immaginano che le capsule possano immagazzinare organi artificiali da consegnare alle sale operatorie in poche ore», scrive il New York Times. Ma anche una pizza da New York a San Francisco in soli 45 minuti.

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