Diritti

Cure per tutti e libertà: il sogno di Basaglia è ancora sulla carta

Chiusura dei manicomi, pazienti curati sul territorio, psichiatria democratica: questo voleva il medico veneto. Ma oggi la salute mentale, invece, è ancora stigmatizzata. E, mentre gli psicofarmaci dilagano, si cura meglio chi è più ricco
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Ismael Sánchez 

  

Se c’è un tema negletto nel dibattito pubblico italiano è quello, importantissimo e fondamentale, della salute mentale. La precondizione di tutto, quella che ti consente di poter agire, vivere, quella senza cui la vita può diventare un vero calvario.

C’è stato, di recente, un botta e risposta tra il cantante Fedez e il governo sul tema del bonus psicologo, che ha portato il governo a fare marcia indietro sul taglio iniziale, ma per il resto dei malati psichiatrici, e anche di tutti coloro che soffrono di ansia e depressione, cioè buona parte della popolazione italiana, non si parla mai.

Anni Settanta, una stagione di politica e riforme

Cento anni fa, proprio l’11 marzo, nasceva in Veneto Franco Basaglia, pioniere della psichiatra democratica, promotore della legge 180 che chiuse che appunto i cosiddetti manicomi - dove le persone venivano internate e private di ogni diritto - critico verso trattamenti come l’elettroshock, fautore di una visione della malattia mentale come frutto, anche, dei condizionamenti sociali.

Furono anni, quelli di Basaglia, rivoluzionari non solo per le sue azioni ma anche per il dibattito pubblico sul tema della salute mentale.

Una stagione dove si avvertiva la possibilità di cambiare la condizione dei malati, dove era ancora viva la politica nel senso più ampio e nobile, cioè come, appunto, azione riformatrice, cambiamento dei paradigmi esistenti sbagliati e dannosi, messa in campo di visioni ideali in grado di migliorare e rivoluzionarie la vita delle persone.

Il tutto all’insegna della difesa della libertà delle persone e dei pazienti, dell’idea che le cure psichiatriche dovessero essere per tutti, diffuse sul territorio, non privatizzate, non individualistiche: un paradigma, che invece, a sua avviso, caratterizzava in parte anche la psicoanalisi.

Cure per i ricchi e psicofarmaci a gogo: la situazione oggi

Ma cosa è rimasto, oggi, delle sue azioni e delle sue riforme?

Credo che se oggi Basaglia potesse vedere come lo Stato (non) si occupa di salute mentale dei suoi cittadini resterebbe sconvolto. L’idea di una psichiatria democratica è scomparsa, la cura, oggi, resta una questione personale e privata.

Le strutture sul territorio pubbliche che dovrebbero curare i pazienti sono poche, con risorse insufficienti, spesso prive anche di persone con strumenti culturali adeguati nel curare chi a loro si rivolge.

Dilagano, ormai una piega che non si ferma, gli psicofarmaci, che oggi vengono dati da tutti, psichiatri, medici di base, una misura tampone che arginare ansia e depressione che spesso si traduce in una dipendenza infinita.

Perché assumere psicofarmaci è semplice, toglierli è difficilissimo e si rischia di entrare in un vortice infinito, dove, casomai, i farmaci si aggiungono ad altri farmaci.

Anche la psicoterapia oggi è diffusissima, ogni tipo di approccio teorico è a disposizione, dalla psicoanalisi al cognitivismo, ma è qualcosa che resta radicalmente privato e legato alle disponibilità economiche dei singoli. I quali, se si ammalano gravemente e vogliono ricoverarsi, si trovano nuovamente di fronte al fatto che chi è molto benestante può scegliere una clinica privata (dove non sempre sanno curare, ma comunque si viene ben accolti), mentre gli altri finiscono, se c’è posto, in rare strutture pubbliche dove comunque i trattamenti sono soprattutto rappresentati dalla somministrazione di psicofarmaci.

Se la malattia mentale è ancora stigmatizzata

In tutto ciò, il paradosso è che la malattia mentale viene ancora stigmatizzata. Siamo un popolo di persone piene di sintomi, anche a causa di una vita difficile, lavori malpagati, scarsissimi aiuti statali, poveri abbandonati, tutti aspetti che sono concause di malattie mentali, eppure, per esempio, gli psicofarmaci si prendono ma ci si vergogna a dirlo.

Chi assume psicofarmaci, per esempio, tende a non dirlo quando deve fare l’esame della patente, perché dicendolo si finisce in un girone di commissioni mediche quasi si assumessero droghe.

Oppure, un altro esempio, quando ci sono separazioni e figli che si prendano psicofarmaci è altra cosa che va nascosta, come se il fatto di prenderli fosse sintomo di incapacità di intendere e di volere, che potrebbe essere utilizzato dagli avvocati.

Se è vero che gli psicofarmaci, per certi versi, sono vere droghe, e il fatto che si curi solo con quelli è espressione di un radicale fallimento, è quanto meno assurdo però che la società che li definisce medicine costringa poi a nascondersi chi li prende. Insomma, se fossi malato di cuore e non prendessi i farmaci si direbbe che faccio una cosa grave e sbagliata. Se sono malato di ansia e prendo i farmaci, invece, sono visto con sospetto. Un paradosso.

Dalla rivoluzione ai “bonus”: una parabola discendente

Ma tornando al sogno di Basaglia e alle cure per tutti. Quella visione era legata anche a una società profondamente diversa, a una direzione che non abbiamo intrapreso, andando in direzione contraria.

Ovvero quella, appunto di una società più uguale, dove le ricchezze fossero più distribuite, dove lo Stato intervenisse con riforme per migliorare la condizione dei più poveri e sofferenti. E invece, incredibile, c’è stata una stagione, anni Novanta e Duemila, dove la parola “riforme” era sulla bocca di tutti ma nessuno faceva niente.

Oggi, almeno, più coerentemente, non si parla più di riforme, ma solo di “bonus”.

Ecco, siamo passati dalla rivoluzione di Basaglia al “bonus” (per alcuni). Forse è buona sintesi di ciò che è successo.

Così oggi chi si ammala, per predisposizione familiare ma anche per condizionamenti sociali, è solo più che mai.

Se molto grave, potrebbe addirittura subire ancora un Tso, pratica allucinante che viene ancora applicata.

Se benestante, può rivolgersi a psichiatri e psicoanalisti privati e a cliniche private. Se povero o comunque non ricco, resta ben poco per lui.

I Centri di salute mentale, depauperati e con pochissime risorse, oppure gli psicofarmaci, presi comunque da tutti oggi, ricchi e poveri. Tornare indietro sembra impossibile.

La parabola sociale è davvero andata in direzione contraria a quanto auspicava Basaglia e quella stagione appare oggi come un’utopia meravigliosa che abbiamo radicalmente perso. Possiamo solo continuare a scrivere del tema, a dire che la sofferenza psichica grave è la condizione più infernale che si possa vivere, che i malati non devono restare soli, che la presa in carico dei pazienti è qualcosa di complesso e difficile, che richiede molte figure, ma che dovrebbe essere qualcosa di garantito, per tutti, ricchi e non ricchi.

Il silenzio pubblico di psichiatri e psicoanalisti

In generale, curare la salute mentale dovrebbe essere per lo stato il primo investimento.

Non solo per ridurre l’immenso dolore, ma anche per avere meno costi dopo, per avere cittadini più capaci e attivi, anche più felici e quindi una società più florida. Ma figuriamoci. Oggi si naviga a vista, e il massimo a cui si può aspirare, ripeto, è un bonus.

Manca, anche, la cultura della cura della salute mentale, che in effetti richiede competenze alte che i nostri politici non hanno. Stupisce però anche, in tutto questo, il silenzio di psichiatri e psicoanalisti che quasi mai intervengono pubblicamente (a parte i soliti noti che scrivono libri e podcast, ma sono sempre gli stessi). Chiusi nei loro studi privati, hanno forse gettato la spugna sulla possibilità di schierarsi come intellettuali, di dire la loro e far sentire la loro voce.

È un peccato perché è certamente una voce competente di cui avremmo immenso bisogno. Il giorno dei cento anni della nascita di Basaglia potrebbe essere un’occasione per riflettere su questo.

Per chiedersi se qualcosa di quel progetto può almeno essere riportato in vita. Perché era un progetto che sapeva di futuro, utopia, giustizia. Qualcosa di cui davvero avremmo bisogno in maniera estrema.

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di Ilaria Marciano 4 min lettura