Ambiente

Combustibili fossili: l’Ue vuole tassarli per pagare la lotta climatica


In vista delle decisioni Onu sui fondi per il clima, in un documento l’Europa chiede che il settore dei combustibili fossili contribuisca. Reuters ha visionato la bozza
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6 marzo 2024 Aggiornato alle 09:00

Mentre le Nazioni Unite si preparano a decidere sui finanziamenti globali per il clima, l’Unione europea potrebbe proporre che le imprese legate ai combustibili fossili sostengano economicamente la lotta contro i cambiamenti climatici, a partire dai Paesi più poveri, attraverso una tassazione. Sull’idea e sulle modalità però ci sarebbe disaccordo tra gli Stati.

Il momento cruciale delle scelte si concretizzerà nel mese di novembre 2024 quando a Baku, in Azerbaigian, si terranno i negoziati sul clima delle Nazioni Unite, con la Cop29.

Entro quella data i Paesi sono chiamati a stabilire un nuovo obiettivo da perseguire in termini di fondi “climatici”: il nodo essenziale da discutere verte intorno a quanto denaro le potenze più ricche e industrializzate dovrebbero versare alle realtà geografiche in via di sviluppo, in modo che queste ultime possano adattarsi agli impatti del riscaldamento globale.

In teoria, dal 2020, il traguardo di spesa annuale per il clima sarebbe dovuto essere di 100 miliardi di dollari l’anno ma non è stato raggiunto. E ora l’impegno dei Paesi ricchi dell’Onu dovrebbe crescere ancora di più.

Ondate di calore, siccità, innalzamento del livello del mare: sono alcune delle emergenze che rendono urgente un massiccio intervento di natura anche finanziaria.

I 27 Paesi dell’Unione europea sarebbero quindi propensi a chiedere che l’industria del petrolio e del gas contribuisca attivamente. L’intenzione è contenuta in una bozza di dichiarazione per una riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue.

Il testo del documento potrebbe naturalmente essere modificato prima dell’approvazione prevista alla fine di marzo.

Dalle righe riportate da Reuters, che ha visionato la bozza in esclusiva, trapela che l’Europa intende invitare con fermezza a individuare e sfruttare ulteriori fonti di finanziamento, indicando esplicitamente a riguardo il settore dei combustibili fossili.

A Baku infatti occorrerà dirimere un punto importante: il nuovo obiettivo finanziario globale potrebbe essere raggiunto più facilmente includendo investimenti privati accanto a quelli pubblici, coinvolgendo inoltre le istituzioni internazionali.

Secondo l’Ocse, le esigenze reali di fondi climatici da parte delle nazioni meno ricche potrebbero ammontare a 1 trilione di dollari all’anno entro il 2025.

In ambienti europei si parla esplicitamente di tasse sui combustibili fossili, ma questa tipologia di misura richiederebbe un ampio sostegno nell’ambito delle Nazioni Unite.

Un’ipotesi analoga è emersa in occasione dell’ultima Conferenza sui cambiamenti climatici a Dubai lo scorso autunno quando Gordon Brown, ex leader ed economisti hanno inviato una lettera ai presidenti di Cop28 e G20 per chiedere un prelievo dalle entrate dei Paesi petroliferi e contribuire così al fondo Loss & Damage per le nazioni più povere e colpite dalla crisi climatica. Si è parlato di una tassa da 25 miliardi.

Un banco di prova per l’attuale proposta potrebbe essere rappresentato dai negoziati dell’Organizzazione marittima internazionale, che proseguiranno questo mese. Stati come la Cina, che ha già espresso in passato la sua contrarietà verso soluzioni simili, l’anno scorso hanno ostacolato una tassa sulle emissioni di CO2 per il trasporto marittimo.

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