Diritti

È nata la Rete nazionale consultori e consultorie

Da Trieste a Bologna, fino a San Benedetto del Tronto e Roma: in vista dello sciopero dell’8 marzo, collettivi, comitati locali e assemblee transfemministe sono scese in piazza per la difesa del diritto alla salute e della sanità pubblica
Credit: ANSA/ANGELO CARCONI 

Trieste, Bologna, Bivongi, Germaneto, Reggio Emilia, Senigallia, Jesi, San Benedetto del Tronto e Roma: tante sono le città in cui si sono svolte mobilitazioni per la difesa della salute, dei consultori e del sistema sanitario pubblico. Un percorso di costruzione di una rete nazionale, in continua espansione, per connettere i percorsi e le realtà già esistenti che lottano per aumentare i fondi ai consultori e contro il loro smantellamento.

Per rimettere al centro e riappropriarsi del diritto alla salute delle donne è nata, dopo un’assemblea nazionale indetta dal Coordinamento delle donne e delle libere soggettività dei Consultori locali di Roma (che da anni si occupa di consultori e salute), una rete di alleanze che ha come obiettivo ampliare spazi, esperienze, lotte e competenze, dopo le tante notizie di tagli alle strutture dei consultori e ai presidi di salute.

Le parole d’ordine della Rete nazionale consultori e consultorie (in continuità con le mobilitazioni transfemministe dell’8 marzo di Non Una Di Meno - Nudm) sono rilancio alla sanità pubblica, per contrastare i progetti di depotenziamento della sanità locale e contro la loro privatizzazione e frammentazione: un percorso che punta all’apertura di nuovi consultori e che lotta per chiedere la riapertura di quelli già chiusi, portando, allo stesso tempo, alla luce lo sfruttamento del personale sanitario.

L’appello della Rete: in tutta Italia per difendere i consultori pubblici

“Ci siamo unitə nella Rete nazionale delle assemblee delle donne e delle libere soggettività dei consultori pubblici e delle consultorie autogestite e transfemministe per rafforzare le nostre richieste locali e per moltiplicare l’effetto delle nostre lotte. La condivisione, la chiarezza dei nostri obiettivi e la nostra rabbia contro la negazione dei nostri diritti e contro la violenza del patriarcato sono la nostra forza”.

Quello che la rete chiede è che i consultori rimangano spazi accoglienti per tuttə “dove ottenere prevenzione, salute e benessere, gratuitamente e senza discriminazioni di classe, di provenienza geografica, di genere, di età e di scelte relative a relazioni e sessualità”.

Riguardo la chiusura dei consultori, le richieste si concentrano sulle riaperture e sul rispetto della legge secondo cui deve esserci almeno una struttura ogni 20.000 abitanti, puntando anche a un miglioramento immediato delle condizioni di lavoro.

Altro tema centrale è quello che riguarda il diritto all’autodeterminazione e alla libertà di scelta su genitorialità, comunità di cura, salute riproduttiva e aborto, genere e transgenere, piacere e desiderio: “Ci riprendiamo il diritto alla salute e allo stare bene che non può avvenire attraverso il profitto, la violenza medica o la mercificazione dei corpi. Ci riappropriamo attraverso le nostre assemblee di queste strutture sociosanitarie universali e polifunzionali, per i nostri bisogni”.

Il caso di Trieste: “dimezzano i consultori, raddoppiano la nostra rabbia”

A Trieste erano presenti 4 sedi di consultorio familiare, a cui si aggiungevano 3 sedi situate nei Comuni vicini, inserite nei 4 distretti che coprivano il territorio provinciale. Ogni consultorio aveva una èquipe completa che comprendeva anche il servizio di consulenza legale in diritto di famiglia, punto di riferimento fondamentale per la cittadinanza.

La dottoressa Maria Vanto, ex dirigente di consultorio familiare di Trieste, ha spiegato a La Svolta che «oggi, in città, sono rimaste solo due sedi in aree opposte della città, a seguito di un accorpamento. I consultori non sono più unità operative autonome con un proprio responsabile e una propria èquipe e un territorio contenuto di riferimento. È sparita la denominazione “Consultorio familiare”, tutte le èquipe sono confluite in un’unica unità operativa complessa che si chiama “Salute della Donna, dell’Età Evolutiva e della Famiglia”; il riferimento territoriale è tutta l’area sia cittadina che provinciale».

«Al momento - ha aggiunto - non è stato garantito il turnover del personale dovuto pensionamenti/trasferimenti e mancano una ginecologa, due ostetriche, un assistente sociale. Dal primo novembre 2023 non hanno a disposizione il servizio di consulenza legale in diritto di famiglia che è sempre stato presente nei Consultori».

«Il 24 e il 25 novembre siamo entrate all’interno del consultorio di San Giacomo trasformandolo, per due giorni, in “consultorio aperto per una cura collettiva”: una mobilitazione organizzata da Non una di Meno Trieste a cui hanno partecipato tantissime persone. Sabato 25 novembre, è partita proprio da lì la manifestazione cittadina contro la violenza di genere a cui hanno partecipato più di 2.000 persone».

«Il 15 gennaio abbiamo inviato formalmente al (centro medico, ndr) Asugi la richiesta, insieme ad altri gruppi, di applicare l’art.4 della legge regionale sui consultori familiari che prevede che le scelte di programmazione e di organizzazione siano partecipate con rappresentanti degli utenti e degli operatori tenendo conto anche dei movimenti femministi presenti nei territori. Nella stessa data abbiamo fatto richiesta alla Direzione centrale regionale competente di attivarsi perché la legge venga applicata in tutte le aziende sanitarie della Regione: attendiamo ancora risposta».

Le testimonianze dal presidio di Bologna

Il primo marzo a Bologna si è svolto un presidio della Rete Nazionale dei consultori e delle consultorie del territorio emiliano, promosso da numerose realtà cittadine: Non Una di Meno Bologna, Laboratorio Salute Popolare, Mujeres Libres Bologna, Mala Consilia, Prometeo, Cassero Salute, Unione donne in Italia (Bologna) e Centro Salute Internazionale e Interculturale.

In questa occasione, è stato messo al centro il ruolo della salute pubblica; la salute transfemminista è sotto attacco, come raccontano le tante testimonianze raccolte durante il presidio: «Da poco abbiamo visto la perquisizione dell’ospedale Careggi di Firenze e un altro esempio di discriminazione è arrivato il 12 febbraio, con la nuova nota Aifa che nega la distribuzione in classe A del farmaco Sandrena, uno dei farmaci estrogeni più utilizzati nei percorsi ormonali di affermazione di genere: declassarlo in classe C. E quindi renderlo a pagamento discrimina ancora una volta le persone trans».

È necessario, inoltre, secondo la rete, che si identifichino forme di sciopero per i lavoratori del Sistema Sanitario Nazionale, impiegati nel settore pulizie, della sanificazione, del trasporto del materiale biologico, dei rifiuti e della biancheria: «Proprio per la tendenza sempre maggiore alla privatizzazione, (i lavoratori e le lavoratrici del settore, ndr) non hanno condizioni lavorative idonee, con un contratto collettivo applicato non di settore e di conseguenza con una retribuzione molto bassa. E senza una loro messa in sicurezza viene a meno anche la sicurezza dell’ospedale e questo diventa un problema di salute collettiva», è stato spiegato durante il presidio.

«Ecco perché l’8 marzo ha un grande valore all’interno di questo percorso: qui a Bologna il sindacato Adl Cobas porta avanti una vertenza, con lavoratrici e lavoratori dell’ospedale Sant’Orsola, alla quale il Laboratorio Salute Popolare collabora e che ha visto anche l’interesse e il supporto di Non una di meno Bologna».

«Si sta lavorando per scioperare con loro, per andare anche oltre l’8 marzo, nella speranza che si coinvolga tutto il comparto sociosanitario e che questo possa portare ad alleanze tra tutte le persone che lavorano all’interno del Ssn: non solo per creare consapevolezza collettiva, ma anche per dare la forza a tutti e tutte per denunciare le condizioni lavorative e per dimostrare a chi ci vuole divisə che non siamo ricattabili, ma anche per rivendicare il diritto a una sanità pubblica di qualità che sia davvero all’altezza di prendersi cura di tuttə».

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