Città

Bhutan, il Paese amico dell’ambiente

Lo Stato asiatico, che sta vivendo una grave crisi economica, vuole creare una città eco-friendly, a impatto zero, grazie al recupero di un’area ricca di edifici abbandonati
Credit: Faris Mohammed 
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19 gennaio 2024 Aggiornato alle 06:30

Come un nido di aquile sul tetto del mondo, questo Stato, Bhutan, arroccato sulla catena dell’Himalaya, si trova al confine con due grandi potenze: la Cina e l’India.

Con una popolazione di circa 800.000 persone, poco più di quella di Palermo, è spesso conosciuto ai più per la bandiera, che porta un drago al centro in campo arancione e giallo. In realtà, oltre alla particolarità della bandiera, ci sono varie ragioni per cui dovresti conoscere questo Paese.

Il Bhutan anche, o forse soprattutto, per ragioni di carattere religioso (la religione prevalente è quella buddista), ha sempre avuto una particolare attenzione per la preservazione della natura e, dai tempi della monarchia assoluta, anche per il concetto di felicità quale misura della prosperità di uno Stato, in luogo del più cinico prodotto interno lordo che, lo ricordava Bob Kennedy, include anche la monetizzazione delle armi e della pulitura delle strade dal sangue sparso a causa degli incidenti del sabato sera.

Fu un suo monarca, Jigme Singye Wangchuck, che nel 1972 teorizzò che la prosperità delle Nazioni si dovesse misurare sul “Gross National Happiness”, indice diverso dal Gdp (Gross Domestic Product) ma anche dallo Human Development Index che si basa, tra l’altro, sull’aspettativa di vita alla nascita e sui livelli di istruzione.

Diritto alla felicità non riconosciuto a tutti, considerato il trattamento che negli anni ‘90 ebbe la popolazione dei Lotshampa di origini nepalesi, giunti nel 19° secolo per coltivare terreni incolti, dapprima benvenuti e poi cacciati quando il loro numero superò quello dei nativi.

Una triste pagina della storia dei diritti umani che ci insegna ancora una volta che, sebbene questi siano diritti di natura (sono cioè riconosciuti dal diritto positivo, come ci ha insegnato il presidente Mattarella nel discorso di fine anno, ma a esso preesistenti), gli esseri umani spesso li riconoscono solo a quelli che più gli somigliano e basta un differente credo o il colore della pelle a rendere irrilevante un principio universale quale quello dell’uguaglianza.

A prescindere da questa brutta pagina e tornando alle virtù, il Bhutan è stato inoltre il primo Stato a raggiungere la neutralità nelle emissioni di anidride carbonica (ha addirittura un indice con segno negativo), grazie alla protezione delle foreste e alla produzione di energie rinnovabili che sono esportate anche in India.

Le recenti elezioni, terminate qualche giorno fa con la conferma del partito democratico (al potere anche nella precedente legislatura), sono state l’occasione per comprendere come le cose stanno andando anche in questo Paese, che sembrerebbe essere una sorta di paradiso terreste: dal dibattito è emerso che lo Stato soffre di una forte crisi economica (così ricordandoci che, purtroppo, la prosperità è parte necessaria per la felicità) e cerca soluzioni per risolverla. Uno dei tentativi è la creazione di una città a impatto ambientale zero sotto il profilo delle emissioni, attraverso il recupero di un sito ricco di edifici abbandonati. La creazione della città dovrebbe essere accompagnata anche dalla creazione di una zona economica speciale.

Il progetto sembrerebbe ideato da una società internazionale di consulting e da un fondo sovrano di Singapore (elementi sulla cui positività o no, mi rimetto alla tua valutazione, del lettore, perché se è vero che l’internazionalità dei progetti può assicurare più efficacemente i risultati, l’esperienza insegna che chi pensa in grande spesso trascura quei particolari considerati insignificanti per tutti tranne per coloro che ne subiscono le conseguenze, ovvero i locali).

Sebbene sulle zone economiche speciali io nutra da sempre vari dubbi per i risultati a cui possono condurre in un arco di tempo lungo, visto che normalmente i benefici iniziali sono assorbiti dai costi che essi comportano (minori chance per le zone confinanti, imposte non versate, contribuzioni agevolate che non sono alla lunga sostenibili), non sembra che il Paese abbia molte alternative.

Essere sul tetto del mondo, schiacciati da due superpotenze non proprio democratiche, non è una posizione invidiabile e le risorse naturali di cui il Bhutan gode non vanno oltre le bellezze naturalistiche, le energie rinnovabili, l’agricoltura e un turismo che per molti aspetti non può che essere un turismo di èlite per assenza delle necessarie infrastrutture.

C’è solo da sperare, allora, che l’idea della creazione o rigenerazione di una città a impatto ambientale zero possa avviare un nuovo settore di prosperità, per una crescita che sia davvero sostenibile per il Bhutan e un esempio per altri Stati, e non si trasformi in colate di cemento come noi italiani siamo, purtroppo abituati a vedere, spesso spacciate come sostenibili, ora che l’emergenza abitativa non può essere più invocata stante la decrescita demografica.

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