Ambiente

Cop28: gli Emirati Arabi hanno i più grandi piani di espansione petrolifera al mondo

Due diversi report raccontano le incongruenze dell’azienda amministrata da Al Jaber, presidente della Conferenza sul Clima. Servirebbero 343 anni per catturare le emissioni della multinazionale
Al Jaber, presidente di Cop28
Al Jaber, presidente di Cop28 Credit: EPA/Christian Marquardt / POOL 
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16 novembre 2023 Aggiornato alle 14:00

L’ultimo, terribile dato, lo ha fornito la rivista Lancet: se non ridurremo le emissioni legate ai combustibili fossili i decessi legati al caldo nel mondo aumenteranno di 4,7 volte entro il 2050. L’ennesima proiezione che ci indica l’urgenza di agire per trasformare il mondo economico e sociale nel tentativo di proteggere la nostra stessa salute, oltre che quella del Pianeta. Eppure, paradosso fra i paradossi, il luogo in cui si negozia la possibilità di un reale cambiamento fra i Paesi di tutto il mondo continua a mostrare incongruenze, tanto da immaginare che questo cambiamento sarà impossibile, almeno sul breve termine.

Come noto, infatti, dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai si terrà la Cop28, la Conferenza delle parti sul Clima presieduta quest’anno (con tante polemiche) dal sultano Al Jaber che è contemporaneamente manager di una industria petrolifera emiratina (Adnoc), leader nell’espansione delle fonti rinnovabili e rappresentate di un Paese, gli Emirati Arabi Uniti, sinonimo dell’industria del greggio e dei combustibili fossili.

Proprio gli Emirati Arabi hanno i più grandi piani petroliferi di espansione al mondo: in sostanza, sono sia il Paese che ospita i negoziati sul clima che quello che impatterà pesantemente a livello di emissioni climalteranti legati alle fonti fossili.

Il fatto “ridicolo” come lo hanno definito gli autori del report redatto dalla Global Oil and Gas Exit List (Gogel), è che è proprio la azienda di cui è amministratore delegato Al Jaber, la Adnoc, ha i più grandi piani di espansione della produzione di petrolio e gas: un chiaro conflitto di interessi.

Secondo il report, realizzato grazie a un database pubblico che dettaglia le attività di oltre 1.600 aziende che rappresentano il 95% della produzione globale, quasi tutte le imprese stanno ignorando gli avvertimenti degli scienziati del clima per evitare nuove emissioni legate al fossile. In generale, dal 2021 l’industria ha speso 170 miliardi di dollari per esplorare nuove riserve di petrolio e gas e il 96% di 700 aziende legate ai fossili continua a farlo. Inoltre, con Governi che puntano ancora sul gas, più di 1.000 aziende stanno progettando nuovi gasdotti o impianti GNL - gas naturale liquefatto

Insomma, è chiarissimo: la scienza dice “smettetela”, l’economia e l’industria invece “ne vogliamo sempre di più”. L’Onu, di recente, ha però avvertito che i piani dei produttori di combustibili fossili, se non saranno rivisti, sconvolgeranno per sempre gli equilibri del Pianeta.

«L’entità dei piani di espansione del settore è davvero spaventosa. Per mantenere in vita l’idea di restare sotto l’1,5°C, è vitale un declino rapido e gestito della produzione di petrolio e gas. Invece, le compagnie petrolifere e del gas stanno costruendo un ponte verso il caos climatico» ha detto Nils Bartsch, capo della ricerca su petrolio e gas presso la Ong Urgewald e fra i responsabili del report Gogel.

Nonostante la Adnoc abbia smentito i dati del rapporto, parlando di cifre errate e fuorvianti, ha ribadito però che le fonti fossili sono ancora necessarie per la transizione energetica: “Adnoc produce petrolio e gas tra i meno inquinanti al mondo”. Uno dei sistemi dell’azienda e di altre realtà petrolifere per puntare sia sull’espansione del greggio che sulle “politiche sostenibili” e sulle famose “emissioni zero” è promuovere l’uso di tecnologie in grado di catturare e stoccare le emissioni di CO2. In sostanza: “ripulire” i danni fatti dall’estrazione e la lavorazione delle fonti fossili (ma non l’uso successivo da parte di terzi).

Un altro report, a poche settimane dall’inizio della Cop28, durante la quale l’amministratore dell’Adnoc sarà inevitabilmente protagonista, racconta proprio questo: per catturare tutte le emissioni previste di CO2 dell’azienda emiratina, quelle che produrrà nei prossimi 6 anni, saranno necessari 343 anni con i sistemi a disposizione oggi.

L’analisi di Global Witness sostiene infatti che la cattura del carbonio è “una pericolosa falsa pista” che non farebbe nulla per affrontare davvero la crisi climatica. “Se Al Jaber fa sul serio (se noi siamo seri) dobbiamo immediatamente respingere la falsa soluzione CCS (cattura e stoccaggio del carbonio, ndr) e affrontare a testa alta il problema esistenziale del petrolio e del gas”, scrivono nel report ribadendo che con le tecnologie di oggi l’azienda del sultano impiegherebbe comunque oltre 3 secoli per catturare il carbonio che produrrà da qui al 2030.

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