Diritti

Mai più nomi discriminanti per le native americane

Oltre 660 denominazioni geografiche negli Usa potrebbero essere presto sostituite. L’iniziativa è della segretaria dell’Interno statunitense Deb Haaland, che aveva già denunciato l’uso improprio e offensivo della parola “sq***” nella toponomastica
Deb Haaland, segretario dell’Interno degli Stati Uniti
Deb Haaland, segretario dell’Interno degli Stati Uniti
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
1 marzo 2022 Aggiornato alle 11:00

Anche i nomi su una cartina geografica sono indicativi del patrimonio culturale di un Paese. Se “antiquati”, o peggio, discriminatori, vanno aggiornati.

Il Dipartimento dell’Interno degli Stati Uniti ha pubblicato un elenco di nomi candidati a sostituire più di 660 denominazioni geografiche considerate discriminatorie nei confronti delle donne indigene. La segretaria dell’Interno Deb Haalandprima nativa americana a rivestire questo incarico – già a novembre ha emesso un’ordinanza in cui segnalava l’uso improprio e offensivo della parola “sq***”

nelle denominazioni dei luoghi. Una decisione che arriva sull’onda di diversi interventi legislativi sul tema. In vari Stati – tra cui il Montana, l’Oregon, il Maine e il Minnesota -, è stato approvato il divieto di usare la parola “sq***” nei toponimi.

Secondo Urban Dictionary, la parola incriminata deriverebbe dal dialetto della tribù degli Algonchini e avrebbe significato almeno in origine, semplicemente “giovane donna”. Con l’insediamento dei conquistatori anglosassoni, invece, la sua accezione sarebbe cambiata radicalmente. Nel 1622, il libro Mourt’s Relation: A Journey of the Pilgrims at Plymouth la menzionava per la prima volta, riferendosi alla Squaw Sachem, ossia la Regina, moglie del capo indiano, un appellativo usato dagli stessi nativi con un senso tutt’altro che denigratorio. Pian piano, però, avrebbe finito per assumere una connotazione sempre più negativa, fino a divenire un epiteto razzializzante, volgare, volto a sminuire e declassare le donne native a cittadine di serie B o a oggetti sessuali esotici.

Negli anni ‘70, alcuni attivisti amerindiani hanno ipotizzato un’origine diversa del vocabolo. Proveniente da una lingua Mohawk (del gruppo delle lingue irochesi), avrebbe implicato sin da subito un riferimento volgare all’apparato sessuale femminile. Tuttavia la maggior parte dei linguisti non concorda con questa ricostruzione filologica.

Oggi è assimilabile, in un certo senso, alla N word, che nel 1962 il segretario Stewart Udall chiese al Board on Geographic Names – l’ente federale incaricato di nominare i luoghi geografici che già in passato ha avuto un ruolo fondamentale nel processo di rimozione dei nomi offensivi e discriminatori – di debellare da tutte le denominazioni dei luoghi.

Per l’impresa titanica, Haaland ha istituito una task force di 13 membri - compresi i rappresentanti dell’Ufficio per gli affari indiani del Dipartimento, dell’Ufficio per la gestione del territorio, dell’Ufficio per la diversità, l’inclusione e i diritti civili, l’Office of Surface Mining Reclamation e l’US Geological Survey - con l’obiettivo di rinominare le località e gli elementi geografici, avviando non solo delle consultazioni con i gruppi tribali ancora esistenti per valutare le proposte avanzate, ma anche un dibattito pubblico sull’argomento.

Le parole contano, in particolare nel nostro lavoro. Bisogna rendere le terre e le acque pubbliche della nostra nazione inclusive e accoglienti per persone di qualsiasi provenienza. Sostituire questi nomi “scaduti” da tempo è un grande passo avanti”, riporta il comunicato stampa. “Un ampio coinvolgimento con le tribù, le parti interessate e il pubblico in generale ci aiuterà a portare avanti i nostri obiettivi di equità e inclusione”.

Nel giro di pochi mesi, il lavoro della commissione dovrebbe concludersi. Partendo da 5 nomi plausibili per ciascun luogo da ribattezzare, selezionerà una proposta sola da presentare al Board on Geographic Names, che delibererà sulla questione entro la fine dell’anno.