Economia

Quali sono gli ostacoli che rallentano il Pnrr?

Tra i motivi dei ritardi: l’immobilità della spesa, la lunga trafila burocratica, l’aumento dei prezzi e i rapporti con l’Unione europea
Credit: Monstera

Che l’Italia sia in ritardo con gli obiettivi del Pnrr è, ormai, cosa nota. Lo stesso ministro degli Affari Esteri, della Politica di Coesione e del Pnrr Raffele Fitto non lo nasconde: «Sul Pnrr bisogna essere chiari: alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati, ed è matematico, è scientifico che sia così, dobbiamo dirlo e non aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa».

Il riferimento è, senza dubbio, alle accuse di questi ultimi giorni che il Governo (in particolare il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini) ha rivolto a Mario Draghi e all’esecutivo precedente, considerati i principali responsabili del ritardo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Prende piede, quindi, la paura di perdere i fondi. Se da una parte i Sindaci di Milano e Roma, Beppe Sala e Roberto Gualtieri, lanciano un appello per destinare i fondi ai Comuni più virtuosi per evitare di perderli, dall’altra il presidente della Calabria, Roberto Occhiuto, è profondamente contrario: «Affermare “diamo i soldi a chi li sa spendere” vuol dire lasciare indietro un pezzo di Paese, coloro appunto che sono in difficoltà che invece, proprio per questo loro deficit, andrebbero supportati di più dal Governo e da tutta la comunità nazionale. E allora io dico che questa sì che sarebbe una secessione».

La situazione è critica: ma quali sono gli ostacoli che frenano l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, e su cui il Governo dovrà lavorare?

Immobilità della spesa

In base a quanto emerge dalla Relazione sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza redatta dalla Corte dei Conti, che ha come scopo il controllo e il monitoraggio del Pnrr, la situazione della spesa dell’Italia è estremamente critica. Dei 120 miliardi a disposizione, l’Italia a fine 2022 ne ha utilizzati solamente 23 miliardi: una spesa pressoché ferma. Si prevede, quindi, un picco nel biennio 2024-2025. Inoltre, questo rallenta profondamente gli investimenti: 1 progetto su 2 è in ritardo e i pagamenti non sono arrivati al 30% delle imprese.

Selezione e bandi dei progetti

I ritardi sulle selezioni e sui bandi dei progetti si sono manifestati già a dicembre, quando la Corte dei Conti ha lanciato l’allarme sulle scuole dell’infanzia e degli asili nido. L’obiettivo era, infatti, quello di aumentare i posti nelle scuole per cercare di raggiungere il target europeo (33%), ancora ben lontano da quello italiano (27,2%).

I fondi messi a disposizione per il nostro Paese ammontavano a 4,6 miliardi di euro, da spendere in questo modo: 700 milioni per progetti in essere, 2,4 miliardi per la costruzione di nuovi asili nido, 600 milioni per le scuole dell’infanzia e 900 milioni per le spese di gestione. Secondo la Corte dei Conti, i responsabili di questo ritardo sono i Comuni (in particolare nelle Regioni del Molise, Basilicata e Calabria, che sono quelle con i servizi più carenti) e infine il Ministero della Pubblica Istruzione.

Le semplificazioni per accelerare i progetti e gli investimenti

Dal 2020 in poi, sono stati fatti tantissimi “Decreti-semplificazioni” che avevano come scopo l’accelerazione degli investimenti e dei progetti. Nel Codice degli appalti le semplificazioni sono state tante, ma non hanno portato a dei veri e propri risultati, anzi. Alcuni settori sono stati esclusi e per questo motivo sono state avanzate diverse critiche: è il caso degli artigiani che lamentano “l’assenza di riferimenti alla specificità dei consorzi artigiani”.

Burocrazia

Al tema delle semplificazioni si aggancia quello della burocrazia, sicuramente uno degli ostacoli principali che rallenta gli investimenti previsti dal Piano. E ciò si nota soprattutto nella Pubblica Amministrazione, perennemente sottorganico che, però, non riesce ad assumere personale. Nell’ultimo anno il piano assunzioni non ha dato i risultati sperati per alcuni motivi ben specifici: primo fra tutti, le figure professionali ricercate sono perlopiù tecniche, dunque ingegneri, architetti e così via. Non è facile quindi trovare qualcuno disposto a lavorare nel settore pubblico quando il settore privato è sicuramente più attraente.

Un altro motivo riguarda i contratti offerti: la maggior parte dei contratti scadrà nel 2026, non offrendo speranze per una futura stabilizzazione con un indeterminato e quindi, soprattutto i giovani, finiscono per rinunciare.

Le rinunce, inoltre, sono più numerose per quanto riguarda il Comune.

Inflazione

L’aumento dei prezzi dell’ultimo anno ha avuto un peso da non sottovalutare sui progetti, che sono stati inevitabilmente rallentati. L’allarme era già stato lanciato a dicembre 2022 dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin: «quando sono state previste le opere del Pnrr noi non avevamo l’8-10% di inflazione e su quelle che sono le opere del nostro ministero che sono opere sostanziali, l’effetto del maggior costo delle materie prime è dirompente».

Anche il settore dei trasporti è stato colpito dall’aumento dei prezzi: in totale la Rete Ferroviaria Italiana ha assorbito 4,559 degli 8,075 miliardi distribuiti dal fondo per coprire i costi elevati a causa dell’inflazione.

Anticipi alle imprese e liquidità

All’aumento dei prezzi si lega la questione degli anticipi alle imprese.

Le imprese che si aggiudicano gli appalti possono richiedere un anticipo della spesa pari al 30% per realizzare le opere e i progetti, ma c’è un problema fondamentale: gli acconti del Ministero dell’Economia e delle Finanze sono solo del 10% e non bastano. Le casse quindi sono vuote, e questo crea un problema di liquidità alle imprese. Liquidità che blocca i progetti sul nascere.

Il sistema di monitoraggio

Il sistema di monitoraggio del Pnrr è il sistema ReGis. Che cos’è? È uno strumento sviluppato dalla Ragioneria Generale dello Stato, attraverso cui le Amministrazioni, gli uffici e le strutture coinvolte nei progetti e nell’attuazione possono adempiere agli obblighi di monitoraggio, rendicontazione e controllo delle misure e dei progetti finanziati dal Pnrr.

Si occupa, quindi, soprattutto di rilevazione e diffusione dei dati di monitoraggio. Ma qual è il problema di ReGis? Ogni ministero ha il suo metodo, non c’è ancora un allineamento comune che potrebbe rendere il tutto più semplice e veloce.

Revisione della governance

A febbraio 2023, con un decreto-legge, è stata ridisegnata l’intera governance del Pnrr.

La prima novità riguarda l’istituzione di una “struttura di missione Pnrr” presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e poi la creazione di un “ispettorato” che va a sostituire il servizio centrale del Pnrr presso la Ragioneria Generale di Stato (Rgs).

Uno stravolgimento di questo tipo richiede molto tempo prima di essere realizzato e ciò ha, senza dubbio, allungato le tempistiche, togliendo tempo prezioso per l’attuazione del Pnrr.

Il rapporto con l’Ue

Non c’è ancora perfetta armonia tra Italia e Unione europea: sembra essere ai ferri corti il rapporto con Bruxelles soprattutto per quanto riguarda le riforme sulle concessioni balneari. L’ultimatum inviato dalla Commissione europea è emblematico: senza riforme, i fondi si bloccano.

Una questione simile riguarda la riforma del Mes, che Giorgia Meloni non vuole ratificare nonostante le pressioni sempre più insistenti dell’Ue. Contrasti anche per la transizione verde, in particolare sulle auto termiche. Un rapporto certamente non idilliaco che sembra pesare sul Pnrr.

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