Economia

Ue, Pnrr: 1 mese in più all’Italia per recuperare i ritardi

La Commissione europea ha rinviato di 30 giorni la verifica dello stato dei progetti del Piano di Ripresa e Resilienza. Il Belpaese, infatti, ha ben 9 scadenze (su 12) ancora “in corso”
Credit: Scott Blake
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29 marzo 2023 Aggiornato alle 14:00

L’Italia è in ritardo sul Pnrr: entro fine marzo 2023, avrebbe dovuto conseguire le 12 scadenze previste necessarie per lo sblocco dei fondi successivi. Secondo la fondazione Openpolis, oggi ha solo 3 scadenze “a buon punto”, mentre le restanti 9 sono ancora in corso di sviluppo. Ragione per cui la Commissione europea ha rinviato di 1 mese il termine per la verifica degli obiettivi fissati. Dall’ultimo confronto tra Bruxelles e Roma, sembra ci siano ancora alcuni ostacoli da superare: uno su tutti, le concessioni portuali; a seguire, numerose difficoltà con le reti di teleriscaldamento e con alcune disposizioni legate ai Piani urbani integrati.

A fine aprile arriveranno le valutazioni. L’Italia ha bisogno di spingere sull’acceleratore, e in fretta.

Pnrr: a che punto siamo?

L’Italia fino a oggi ha ottenuto dall’Europa 66,9 miliardi di euro in 3 rate, a partire dal 31 dicembre 2021. In arrivo a giugno 19 miliardi di euro, nel caso in cui le scadenze vengano rispettate e, allo stesso tempo, raggiunti gli obiettivi richiesti.

Il denaro erogato dall’Unione europea deve essere indirizzato in 6 diverse aree, indicate per rilanciare l’economia del Paese. Per un totale di 191,5 miliardi di euro entro il 2026:

- 59,46 miliardi sono da investire in rivoluzione verde e transizione ecologica;

- 40,29 miliardi di euro in digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo;

- 30,88 miliardi di euro in istruzione e ricerca;

- 25,40 miliardi di euro infrastrutture per una mobilità sostenibile;

- 19,85 miliardi di euro in inclusione e coesione;

- 15,63 miliardi di euro in salute;

Del totale dei fondi incassati, a dicembre 2022 l’Italia ne aveva spesi solo 20 miliardi.

Il dato mostra una realtà che si è mossa lontana da ogni aspettativa. Al momento della sua partenza, il Pnrr aveva fissato una spesa di 41 miliardi dal 2020 al 2022; successivamente, la spesa è scesa a 33,7 miliardi, per poi arrivare a spenderne solamente 20.

Bisogna impiegare il denaro concesso. Gli impedimenti nella spesa sono causati sicuramente da un aumento dei costi dovuto alla situazione della guerra in Ucraina e alla lentezza nello sbloccare i bandi locali. Infatti, il 40% delle risorse previste dal Piano è indirizzato agli enti locali. Le difficoltà dei Comuni risiedono nell’attuazione dei provvedimenti presi per iscritto. Il motivo? La mancanza di personale e di assistenza tecnica.

Tuttavia, alcune zone d’Italia sono più in ritardo di altre nel produrre progetti: ci sono visibili rallentamenti in Emilia Romagna, Toscana, Sicilia e Puglia.

Le debolezze e le criticità che rallentano il raggiungimento degli obiettivi sono diverse. Ad oggi, la struttura dei tecnici e dirigenti che guidano la missione Pnrr non è mutata con il cambio di Governo, ma è in corso una sostituzione che porterà nuovi tecnici a misurarsi con un sistema del tutto sconosciuto, che si distanzia dai normali fondi europei. La sostituzione dovrebbe avvenire in un momento abbastanza delicato, vale a dire nel mezzo del semestre che terminerà il 30 giugno, con l’erogazione della quarta rata.

In caso di rallentamenti, le difficoltà potrebbero ricadere sul cambiamento della direzione delle operazioni.

Alcuni sviluppi del Piano di Ripresa e Resilienza

Tra i fondi del Pnrr destinati alla terza missione, vale a dire Infrastrutture per una finanza sostenibile rientra il progetto della creazione di un hub nel Mediterraneo che colleghi le 8 zone economiche speciali, chiamate Zes.

Le Zes, istituite nel 2017, sono: Abruzzo; Calabria; Campania; Puglia-Molise (Zes Adriatica); Puglia- Basilicata (Zes Ionica); Sicilia Orientale, Sicilia occidentale e Sardegna. L’obiettivo è quello di rendere accessibile a tutte le regioni del Sud una linea ferroviaria ad alta velocità.

I lavori finanziati dai fondi europei puntano a migliorare in queste zone il livello delle infrastrutture, delle strade, delle reti idriche, con un maggiore monitoraggio ambientale. Alcune autorizzazioni sono state già concesse, altri lavori sono in fase di progettazione.

Nello specifico, nella Zes Campania sono state presentate 78 domande per i settori farmaceutico, tessile e metalmeccanico. Quelli già autorizzati sono 16, per 120 milioni di investimenti e un migliaio di nuovi posti di lavoro.

Allo stesso tempo, nella Zes interregionale adriatica (dalla Puglia al Molise) sono circa 71 i progetti presentati, per 450 milioni di euro e una crescita occupazionale di 2.000 unità.

Nella Zes ionica (Puglia e Basilicata) gli investitori mostrano grande interesse per il distretto dell’aerospazio, nelle zone portuali e retroportuali di Taranto e il polo di Grottaglie.

Le imprese si sono lanciate in questi investimenti, spinte soprattutto dall’accesso in tempi veloci all’autorizzazione unica, ovvero il provvedimento introdotto dall’articolo 12 del D. Lgs. 387/2003 per l’autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da Fer, al di sopra di prefissate soglie di potenza, e dal credito di imposta sull’investimento. Tuttavia, c’è il rischio che con la cessazione del credito d’imposta sugli investimenti, previsto per il 31 dicembre 2023, le imprese perdano gli incentivi nel continuare a investire nei progetti stessi.

È necessario «mettersi alla stanga», ha affermato Sergio Mattarella (citando Alcide De Gasperi) intervendo alla Conferenza nazionale delle Camere di commercio, a Firenze. La concessione di 1 mese aggiuntivo non deve permettere un ulteriore rallentamento. Partendo dai punti deboli, come a esempio il grande scoglio delle amministrazioni locali, si deve proseguire puntando soprattutto a una concretezza maggiore sia nei rapporti con Bruxelles sia nell’attuazione del Pnrr.

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