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Compiti a casa: la Svizzera dice no

Molti la considerano una pratica “dannosa e inutile”. Per altri, invece, permette di fare collegamenti, favorisce l’apertura mentale degli studenti. Stimolandone curiosità e attenzione
cottonbro studio
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Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
22 marzo 2023 Aggiornato alle 17:00

Alcuni licei nei cantoni tedeschi della Svizzera hanno deciso di ridurre o persino abolire i compiti a casa. Una svolta didattica che sta sollevando un polverone.

Stefan Wolter, direttore del Centro svizzero di coordinamento della ricerca educativa, ha dichiarato che “è un affronto per tutti i tirocinanti, che sono sottoposti a un carico di lavoro eccessivo”.

Gli studenti che seguono un tirocinio hanno un impegno settimanale di circa 42 ore tra lavoro e scuola, mentre gli studenti dei licei hanno solo 26 ore di insegnamento. Inoltre, gli studenti dei licei hanno 13-14 settimane di vacanza all’anno, mentre gli apprendisti ne hanno solo 5.

Konrad Kuoni, presidente dell’associazione degli insegnanti dell’istruzione professionale di Zurigo, è altrettanto critico nei confronti di questa decisione e ritiene che non farà altro che aumentare le disuguaglianze tra gli studenti dei licei e quelli delle scuole professionali.

Sembra però che i risultati non vadano sempre di pari passo con il carico di lavoro, che se eccessivo rischia di generare un “sovraccarico cognitivo” nei bambini e nei ragazzi.

I finlandesi, che pure risultano tra i più dotati in fatto di numeri e comprensione del testo, impiegano circa 2,8 ore a settimana a fare i compiti a casa, secondo una ricerca del 2012 dell’Oecd.

Anche la Corea del Sud riporta dati simili: hanno appena 2,9 ore di compiti a casa a settimana nei loro anni a scuola.

Da anni ormai i compiti a casa sono complessivamente in calo in tutto il mondo, ma ci sono delle eccezioni: in Russia, lo studente medio passa 9,7 ore a settimana chino sui libri, seguito dall’Italia, che si difende con 8,7 ore di media. Esiste già da diverso tempo, infatti, il movimento Basta compiti, avviato da un preside di Genova, e una petizione lanciata dal gruppo è già arrivata a oltre 37.000 firme.

Al terzo gradino dello sfortunato podio ci sono gli Stati Uniti, con 6,1 ore di compiti settimanali.

I compiti non devono “piacere” necessariamente, ma il loro obiettivo deve essere chiaro agli studenti.

In prima elementare, leggere a casa ha una funzione ben precisa: automatizzare il processo di lettura. Alle medie e alle superiori i ragazzi imparano a studiare da soli e memorizzare: questo è utile se contestualmente si acquisisce un metodo e non ci si limita ad apprendere le nozioni ai fini della singola verifica o interrogazione.

Si tratta del cosiddetto apprendimento difensivo e avviene quando lo studente punta a soddisfare semplicemente le prestazioni richieste dalla scuola: studia per superare una prova, ma in sostanza non trattiene nulla.

Anche se per un compito “ideale” l’80% del lavoro a casa dovrebbe poter essere svolto in autonomia fin dalla prima elementare, la famiglia fa la differenza. Talvolta, i genitori non sono in grado di supportare il lavoro dei figli e questo può creare delle disparità nel rendimento scolastico e nelle opportunità di apprendimento sin dai primi anni di scuola.

In generale, però, i compiti hanno una loro utilità: permettono di fare collegamenti, favoriscono l’apertura mentale, stimolano curiosità e attenzione, consolidano il metodo di studio e l’autonomia. Non dovrebbero però sottrarre eccessivo ad altre attività (sport, musica, laboratori teatrali). L’effetto controproducente, infatti, potrebbe essere quello di provocare nello studente un vero e proprio rigetto per lo studio, un’attività che, se frutto di ricerca e indirizzata verso i propri interessi, può essere appassionante.

La scuola, inoltre, ignora le differenze e le diverse abilità cognitive dei ragazzi. Ogni persona usa strategie mentali e tecniche di memorizzazione diverse per svolgere gli stessi compiti. Assegnare esercizi non è semplice: se troppo semplici potrebbero annoiare e rendere più svogliato il ragazzo, se troppo difficili potrebbero minarne l’autostima.

L’eterno dilemma sulla loro effettiva utilità dovrebbe essere risolto cercando di ripensare in generale le attività da svolgere in classe e quelle delegate all’autonomia dell’alunno.

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