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Il futuro della cucina? È circolare

Massimiliano Parenti di Co-Cooking Lab ha raccontato a La Svolta i corsi di cucina etnica tenuti da cuochi provenienti da contesti di difficoltà utilizzando quasi solo prodotti destinati a essere cestinati
Credit: Louis Hansel/unsplash
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
22 dicembre 2022 Aggiornato alle 21:00

Dare valore a cibo e persone. Bastano poche parole a volte per sintetizzare concetti di enorme spessore e un gruppo di giovani ha scelto proprio queste per esprimere l’essenza della loro idea imprenditoriale: Co-Cooking Lab, un progetto di cucina etnica e circolare dalle molteplici finalità.

A raccontarcele è Massimiliano Parenti che insieme a Vincenzo Casaburi, Annalisa Moro, Elisa Azzimonti, Andrea Stellini, Silvia Bianchi e Carolina Giada Falso ha ideato il format.

Cos’è Co-Cooking Lab?

Si tratta di laboratori di cucina incentrati sui sapori etnici, durante i quali i partecipanti possono scoprire nuovi orizzonti culinari e al contempo contribuire alla lotta allo spreco, visto che le materie prime utilizzate sono quasi tutte eccedenze alimentari del territorio ancora perfettamente commestibili ma destinate ai rifiuti.

Come è nata l’idea?

Noi fondatori ci siamo conosciuti a un Master in sostenibilità e siamo diventati amici. Durante il percorso di studi abbiamo iniziato ad accarezzare il desiderio di creare un progetto di economia circolare legato al cibo, che avesse però anche una finalità etica e sociale e prevedesse l’inserimento di fasce fragili della popolazione in micro percorsi di auto imprenditorialità in ambito culinario.

Così abbiamo dato vita a questi corsi originali che fortunatamente siamo riusciti a portare avanti candidando il progetto al bando Scuola dei Quartieri 2022 sostenuto dal Comune di Milano con i fondi di React EU, che ci ha dato fiducia e supporto nella fase operativa.

Come funzionano i corsi?

Il format si ispira a Masterchef, anche se ovviamente l’ambiente è molto più rilassato. Chi partecipa ha la propria postazione nella quale prepara un intero menù della nazione scelta per l’occasione, aiutato da un cuoco o una cuoca, che noi chiamiamo Co-Cooker, esperto di quella cucina, che insegna come muoversi, supervisiona i lavori e indirizza durante tutte le fasi.

Fino a ora abbiamo esplorato i piatti di Ucraina, Iran e Senegal e stiamo lavorando al calendario dei prossimi corsi. A volte ci siamo fatti affiancare anche da mediatori culturali che facessero da ponte tra gli chef e i partecipanti e speriamo di riuscire a farlo sempre più spesso perché siamo convinti che il cibo sia veicolo di cultura e integrazione e vada spiegato nel miglior modo possibile.

Chi sono i Co-Cookers?

I nostri chef provengono da contesti fragili del territorio di Milano. Principalmente si tratta di immigrati o rifugiati politici che hanno già avuto esperienze in cucina e quindi hanno competenze da spendere ma al momento sono disoccupati o vivono situazioni di difficoltà. Attraverso il progetto vorremmo dare loro una possibilità in più di guadagno e l’opportunità di rimettersi in gioco in questo settore lavorativo.

Dopo aver cucinato si mangia?

Certamente, al termine di ogni laboratorio ci si sposta in una saletta attigua alla cucina e in un clima di convivialità ognuno mangia ciò che ha preparato.

Al momento ci appoggiamo agli spazi di alcune associazioni in zona Corvetto a Milano ma contiamo di espanderci presto. Siamo solo all’inizio di questa avventura ma ci piacerebbe arrivare un giorno in altre zone d’Italia.

Come reperite le materie prime necessarie per le ricette?

La maggior parte di ciò che cuciniamo proviene da eccedenze alimentari, eccezion fatta per alcuni ingredienti troppo specifici e difficili da reperire.

Ci affidiamo principalmente a partner locali come panetterie, macellerie, ortofrutta o simili, con i quali abbiamo avviato collaborazioni che incrociano le esigenze di tutti e convergono proprio nella voglia di non buttare il cibo ma dargli una seconda possibilità quando assolutamente commestibile.

Ma il riciclo non finisce qui. Se dopo la cena avanza qualcosa, i partecipanti la portano a casa, quindi possiamo dire che non ci sia spreco nemmeno nella lotta allo spreco.

Iniziative simili possono aiutare anche a sensibilizzare le persone in un periodo delicato come il Natale in cui solitamente si spreca tanto?

Assolutamente sì, anzi vorrei cogliere l’occasione per ricordare a tutti, se possibile, di pensare anche a questo tema durante la spesa in vista di pranzi e cenoni, limitando gli acquisti al numero effettivo di persone a tavola. Un altro consiglio per un Natale sostenibile è di aggiungere ricette vegetariane o vegane al menù, visto che le verdure hanno un impatto decisamente minore rispetto alla carne.

E se proprio avanza qualcosa?

Nessun dramma, anzi, potrebbe rivelarsi l’occasione perfetta per rispolverare qualche ricetta della tradizione italiana come la pasta o il riso al forno.

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