Diritti

La cucina, il regno di una donna. O no?

Non solo scelte e gusti personali: la sociologia dell’alimentazione ha studiato anche la ripartizione delle attività ai fornelli. Il ruolo maschile è ancora solo di accompagnamento
Credit: Mikhail Nilov/unsplash
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23 novembre 2022 Aggiornato alle 06:30

Gli stereotipi di genere sono frutto di un processo culturale lento e ben radicato all’interno dei vari aspetti societari. La sociologia dell’alimentazione rappresenta un esempio di come la parità tra sessi sia ancora molto lontana dalla sua compiutezza. Attraverso essa, infatti, sono state approfondite preferenze e scelte culinarie, ma anche lo studio della ripartizione dei compiti domestici.

Ricordi le pubblicità di detersivi, cibarie e qualsiasi cosa riguardasse vagamente la cura della persona? Presentavano l’immagine di una donna intenta nelle faccende domestiche che attendeva il ritorno del marito dal lavoro con la cena pronta in tavola.

Lo studio delle disuguaglianze in cucina e delle loro manifestazioni viene introdotto nel dibattito sociologico innanzitutto grazie al lavoro della letteratura femminista, che, a partire dagli anni ‘70 del Novecento, tratta il tema dell’oppressione femminile all’interno delle mura domestiche. È proprio questa prospettiva a dare un respiro più ampio alla sociologia dell’alimentazione e a iniziare un dialogo proficuo con le scienze sociali.

Nel 1991, la sociologa statunitense Marjorie L. DeVault pubblica uno dei lavori più importanti per lo studio delle disuguaglianze di genere in cucina: Feeding the Family: The Social Organization of Caring as Gendered Work. Con questo manuale, lo studio viene arricchito da una componente fondamentale poco trattata: il carattere affettivo ed emotivo che si trova all’interno della logica repressiva che spinge la donna a occupare un posto di unicum all’interno dell’ambiente culinario.

La carica di lavoro non si percepisce infatti unicamente come faticosa, ma anche come gravosa a livello emozionale, essendo percepita come fondamentale per la salute e lo sviluppo della propria famiglia. Tramite questo fondamento la donna in questione, che sia una madre, una moglie, una nonna o una zia, accede a un doppio inganno di gratificazione e lode o sanzione.

Essere in grado di rispondere alle necessità nutritive diventa un vero e proprio ruolo innato e costrittivo.

Le timide evoluzioni avvenute dall’inizio del nuovo millennio risultano tutt’oggi, insufficienti e inadeguate. All’interno delle società contemporanee assistiamo a una riduzione complessiva del tempo impiegato dalle famiglie in cucina, con una leggera decrescita del care alimentare femminile che non viene però affiancata da un’eguale maggiorazione di responsabilità maschile.

Il ruolo maschile rimane quindi di accompagnamento e coadiuvazione del ruolo principale, ossia quello ricoperto dalla donna.

Le statistiche presentano una realtà ampiamente diffusa con varie differenziazioni tra Paesi nordici e mediterranei. Le famiglie in cui il livello di istruzione è più alto, maggiormente benestanti e nelle quali entrambi i coniugi lavorano, sono anche quelle in cui la ripartizione dei compiti sembra dare segni di minore squilibrio.

Il lavoro di care è comunque tutt’oggi non riconosciuto e naturalizzato. Tramite gli studi sulla divisione sessuale del lavoro domestico e sull’assegnazione dei compiti stessi, si arriva quindi a scardinare la normalizzazione di tali processi e includerli in uno spettro di violenza normalizzata delle logiche patriarcali.

La cucina può rappresentare anche felicità ma se per scelta, non per destino.

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